Lo specchio crepato

Domande e domande al San Girolamo di Lucca, tra danza e giochi di luce

I bambini non sono adulti. E viceversa.
Partiamo da questo concetto banale, in nome di quella semplicità apparente con la quale sceglie di porsi il progetto di cui ci accingiamo a parlare.
Aline Nari porta in anteprima al San Girolamo di Lucca uno spettacolo indefinito, che muove i passi su un percorso in bilico tra danza e filosofia. Corredato di un preponderante apparato di luci, Luce fa perno sulla psicologia del bambino in crescita, puntando i riflettori sull’età delle domande ossessive, che saturano la scena per l’intera durata della rappresentazione.
In uno spazio amorfo e uterino, intervallato dall’animazione grafica sullo schermo di fondo, la danzatrice veste i panni del “cercatore di domande, il filosofo, che è in ogni bambino”: salta, esplora con le mani, ingoia le ombre proiettate.
Ma soprattutto chiede, chiede, chiede. Difatti a ogni espressione mimica si alterna la voce registrata, col suo rosario di domande sciocche e profonde: “perché l’ombra mi segue? E se non nascevo, dove mi trovavo? Se lei ha torto e io ho ragione, lei ha torto per tutti?” Il filo rosso dei quesiti procede imperturbato per tre quarti di spettacolo, finché lo spettro della conoscenza non fa la sua comparsa: ci sono i libri. I libri hanno le risposte. Il bambino finisce così con l’armarsi – nel vero senso della parola – delle nuove nozioni, che mulina come una spada, rivolgendosi con l’arroganza di chi ha confuso il bagaglio culturale con la saggezza. Difetto, questo, che si manifesta il più delle volte negli adulti, di cui il bambino può essere quasi un prototipo. L’epilogo leggero della rappresentazione vede l’enfant in veste di crisalide, diretto verso l’età adulta a cavallo di monopattino. Alla fine, anche la matta ricerca del bambino è una declinazione del gioco. A conclusione dell’opera, i piccoli sono invitati nella Stanza delle stelle, terra dalle tonalità indaco in cui depositare le proprie domande, nell’accrescimento di un progetto grafico in continua progressione, che ha già contribuito alla creazione dello spettacolo.
Partiamo da ciò che funziona. Luce vanta un comparto musicale variegato ed espressivo, pienamente in accordo con l’accendersi e lo spegnersi dei lumi. Al primo stillicidio di note, che apre il sipario, si alternano brani più energici, in arrivo ogni qual volta una risposta si profili all’orizzonte. Carini anche i meri effetti sonori, espressioni dei sentimenti astratti e chissà quanto consapevoli del bambino. All’apparato uditivo si accompagna quello visivo della luce, che agisce pressoché in sincronia, anche nei riguardi della voce registrata. In tal modo, ogni domanda contribuisce a illuminare lo spazio, a dargli forma, nell’evocazione di una mente che inizia ad animarsi nel primo pensiero critico.
Altro plauso va agli espedienti scenici, tutti focalizzati sulle varianti luminose: abbiamo così le palline intermittenti alla rinfusa sul pavimento; le lampadine al neon aggrovigliate sul petto, a simboleggiare le prime schiuse sentimentali; i guanti stroboscopici dell’azione, che la Nari scuote nell’oscurità, creando giochi che stravolgono l’occhio.
A mancare è altro, ci.pare, in questa sera del 15 marzo. È come se la struttura dello spettacolo poggiasse su di un terreno che avrebbe dovuto ricevere un trattamento particolare. Nonostante la validità della premessa – la bontà del sapersi interrogare, in un mondo che pretende esclusivamente risposte aride – si avverte la necessità di un perfezionamento per quanto riguarda il modo di rivolgersi alle diverse fasce d’età degli spettatori.
È innegabile il fatto che Luce sia un progetto ambivalente, rivolto tanto ai bambini quanto agli adulti; ciononostante, la scelta di mescolare gli uni e gli altri di fronte al palcoscenico, senza creare cesure o diverse chiavi di ricezione, potrebbe rivelarsi infelice. Oltre a ciò, ciascuno risente delle caratteristiche che, alné contrario, apprezza l’altro: in altre parole, un adulto non può che reagire con condiscendenza a una voce che lo spinge a domandarsi perché non c’era quando sua madre era bambina. Logicamente, un adulto lo sa. D’altro canto, un bambino torcerà il capo confuso, vedendo la parodia del classico quiz televisivo. Che può sapere un bambino dell’ironia e della banalità della supponenza dei grandi?
Pertanto, pur applaudendo all’inclusività dell’opera, che sicuramente si dà da fare per incoraggiare una forma di comunicazione tra le diverse età, troviamo diverse crepe nella sua attuazione. Una possibile soluzione potrebbe trovarsi nella ridefinizione della locazione, sostituendo al palcoscenico e alla platea uno spazio-laboratorio, in cui i bambini possano eseguire interazioni e prendere parte all’attività, esattamente come è proposto nel dopo spettacolo, con la bellissima idea della Stanza delle stelle. Fatto ciò, il target adulto potrebbe mantenere il ruolo di spettatore, benché forte di una cesura esplicita, che lo renda consapevole della naturale esperienza che lo distanzia dal bambino. Ed è noto che nell’arte contemporanea è dal distacco che si originano indagine e comprensione.
E se veramente bambini e adulti si riflettono l’uno nell’altro, non dimentichiamo che in mezzo deve necessariamente stare uno specchio. E a ben ricordare, nessuno è ancora riuscito a valicarne la barriera.
A parte Alice, ma questa è un’altra storia.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro San Girolamo
Lucca
mercoledì 14, ore 9.45 e 14.45; giovedì 15 marzo, ore 9.45 e 18.00 –

Luce
ideazione, testi, regia e coreografia di Aline Nari