Vero come in sogno

Un rene, una casa, una famiglia, un ricordo: la compagnia Costanzo/Rustioni regala all’Italia, per la prima volta, la messinscena del bel testo di Rafael Spregelburd. Al Teatro i, un’inedita rivelazione.

«Bisognerà trovare un ordine là dove non c’è. Alla fine tutti dovremo trovare un ordine là dove non c’è». Vero, verissimo. Sia in senso totale, generale, come massima di vita, sia in riferimento (come effettivamente è) a Lucido, nelle parole di chi questo testo l’ha scelto, tradotto e messo in scena.

Trovare un ordine: in casa, nei pensieri, nelle relazioni, nei ricordi, nel dolore, persino nei sogni. Riordinare, perchè dopo tutte le risate, la rabbia, la sofferenza, la tenerezza, i dubbi e le domande, non resta altro da fare, non ci sono altre vie d’uscita.

Dopo meno di un quarto d’ora di spettacolo, precipitàti nel fertilissimo disordine della stanza, della storia e dell’atmosfera argentina, almeno tre punti sono già perfettamente chiari.

Primo: il testo è un capolavoro. Così, senza riserve. Quinta opera del “teatrista” (attore, autore e regista in un unica parola, come dicono a Buenos Aires) Rafael Spregelburd, Lucido si snoda davanti agli occhi dello spettatore in curve sinuose e precise, senza intoppi, senza lentezze, guidando sicuro chi guarda – e, perchè no, anche chi semplicemente legge il copione – fin negli abissi dell’animo dei personaggi, con leggerezza e sincerità insieme, riuscendo a mantenere sempre un sorriso cristallino, sincero e umano.

Tutto inizia da una delle parti meno poetiche del corpo umano: un rene; da qui, viaggiando tra ricordi e aspirazioni, passati reali o immaginati e futuri possibili e non, l’intreccio si dipana, parola dopo parola, una rivelazione dopo l’altra, una sorpresa alla volta, ma con morbidezza e cautela, mai brusco, mai crudele. Il ritorno di una figlia lontana e ormai estranea, un cameriere accondiscente e petulante, una donna sola, un ragazzo che affronta con diligenza i tragicomici compiti che il suo terapeuta gli affida – tutto si muove e si evolve secondo la schiacciante e disarmante logica della realtà sognata. E non quella di un sogno qualunque, ma quella del sogno lucido, dove chi sogna (e chi sogna, o meglio, chi non sogna?) ha il controllo e la regia di quello che la sua mente sta creando, e, se è bravo, può plasmare la verità per piegarla ai suoi desideri, per trasformarla in ciò che vorrebbe fosse la realtà anche fuori dai suoi viaggi onirici. «Il gioco comico» scrivono Milena Costanzo e Roberto Rustioni «viene continuamente rilanciato in modo sempre più brillante e sorprendente, mentre sotto scorre un’anima tragica»; tragica, vera e dolcissima.

Altro punto certo: la scena è perfettamente adatta. Sfidando l’uso del teatro contemporaneo e il gusto del pubblico dei piccoli teatri milanesi, i due registi hanno scelto per questo spettacolo una ricostruzione realistica e naturalistica dell’ambiente in cui tutto accade. Il modesto salotto argentino è vero, fin nei più piccoli particolari, fin nelle borse della spesa, nel telefono, nella cyclette, nella fodera del divano, persino nell’aria e nella luce, in un modo impossibile da spiegare. Non manca niente, e niente è di troppo. E in nessun altro modo questo mondo oniricamente vero poteva essere meglio rappresentato, niente poteva meglio esprimere il luogo in cui i quattro personaggi si affrontano e si amano.

Bello il tavolo, bello il borsone, bella la cucina, il volume di Piccole Donne, bello persino l’effetto del forno, commovente nella sua ingenuità che sfiora l’assurdo. Bello, infine, il tappeto, così naturalmente d’intralcio e naturalmente risistemato da chiunque, nel camminare, ci capiti sopra. Ecco quindi il terzo punto indiscutibile: il lavoro degli attori è stato davvero efficace, e il risultato ne è la prova. Che entrino, escano, si siedano, girino, si arrabbino o si confessino, i loro movimenti sono fantasticamente naturali, i corpi sono realmente a proprio agio in quell’ambiente che è casa loro, come se veramente fossero vissuti e cresciuti lì.

Poche volte capita di vedere attori così in armonia con la scena, e poche volte succede di incontrare personaggi così ben espressi da chi gli presta corpo e voce. Uno per tutti quello della madre, che trova in Milena Costanzo un’interprete precisamente rappresentativa: i movimenti nervosi e insieme disinvolti, l’interessantissimo uso della voce, gli occhi, persino i capelli e il profumo sembrano essere davvero quelli di Tetè, la donna forte e tenera insieme, vanitosa e concreta, ancora una volta, verissima.

Pur profondissimo, Lucido è uno spettacolo che si guarda (e questa è un’altra rarità) con piacere, senza fatica, e che, al riaccendersi delle luci, lascia nell’animo un’incrinatura dolce e necessaria.

In poche parole? Un’occasione che sarebbe meglio non perdere

Lo spettacolo continua:
Teatro i
via Gaudenzio Ferrari, 11 – Milano
fino a domenica 13 marzo ore 21.00 (martedì riposo)

Lucido
di Rafael Spregelburd
Associazione Teatro Costanzo/Rustioni in collaborazione con Associazione Olinda, Fattore K e Teatro i
traduzione di Valentina Cattaneo e Roberto Rustioni
regia Milena Costanzo e Roberto Rustioni
asistente Elisabetta Carosio
oggetti di scena e costumi Katiuscia Magliarisi
con Milena Costanzo (Tetè), Antonio Gargiulo (Luca), Maria Vittoria Scarlattei (Lucrezia), Roberto Rustioni (Dario)