Concentrazione, distacco, narrazione

Il vento è calato, ma la nave ormai ha preso il largo, e il movimento (che «è vita», chiacchiere da bar docent) ne fa vibrare le membra. La seconda giornata del *Festival *Troia *Teatro prosegue con altri due monologhi (seppur a più voci) offerti a un pubblico troiano sempre più folto ed entusiasta.

Vivere la quotidianità di un festival di teatro significa anche incontrare nei crocevia obbligati dellarchitettura urbana gli artisti che di lì a poco metteranno in scena i propri mondi interiori e sorprendersi di quanto possa essere fragile lapparenza.

I vaneggiamenti involontariamente patafisici di Luca Avagliano, attore pratese in concorso, fanno proprio questo: scoperchiano lillusoria patina del corpo e liberano un mare magnum di sé. Niente panico sembra più un vademecum alla follia nascosta dietro pesanti porte psichiatriche e messa a tacere con pillole e occhi chiusi che uno spettacolo comico. È facile, infatti, affastellare gesti e pigli tipici dei disturbi dellumore con finalità umoristiche (i sintomi più comuni dellipomania sono: logorrea; ridotto bisogno di sonno; “fuga delle idee”, le quali si rinnovano continuamente, tanto che nemmeno il paziente riesce a seguirne il corso; distraibilità e deficit di attenzione; agitazione psicomotoria; tendenza a parlare velocemente e concitatamente). Cosa assai più complicata, invece, è rappresentare con tenerezza la disperazione di chi vorrebbe ridefinire la propria esistenza alla luce della sua nuova, esiziale, molteplicità.

La scenografia, che nellantichità era sinonimo di prospettiva, offre un taglio realista al punto di vista di un «normalissimo essere umano» ridotto a una sintesi che racchiude in sé lessenza dei caratteri peculiari dellambiente rappresentato. La poltrona scomoda, i dischi struggenti, le lampadine della ribalta che vanno e vengono e i fragilissimi cartoni del passato caricano di significato anche la più piccola idiosincrasia, estirpando così alla radice qualsivoglia immobilismo mentale. Bisogna quindi correre dietro ai fiumi di parole artigianalmente ingabbiati in questo spazio che grida la propria solitudine e linfinita paura di chi lo abita, chiedendosi sempre se si tratti un gioco, di una fantasia, o di una tremenda realtà.

Luomo in pigiama (senza cilindro per cappello né diamanti per gemelli, ma con laspetto trasognato, malinconico e assente del più noto figuro in frac), un poeta «solo», mette a nudo con dolcezza da sognatore la propria anima strabordante e, nonostante certe derive alienanti (nel senso ufologico del termine) piuttosto ridondanti, dimostra quello che può fare una semplice voce. Con questo exploit istrionico della totipotenza attoriale, Luca Avagliano riesce a restituire a un pubblico variegato e partecipe (sebbene quello delle ultime file sia rimasto purtroppo escluso da una fruizione serena a causa di acustiche galeotte) uno spettacolo limpido e onesto, privo di autocompiacimento e autocitazionismo, parlandoci di quello che accade quando la luna naufraga nelleco di un amore.

Anche il quarto lavoro in concorso per il FTT2016 scaturisce da una ricerca antropologica dei fantasmi che ci portiamo dentro, e anche qui si mescolano psicanalisi, fatti di “minimale” quotidianità e tradizione. Nata da un percorso pedagogico allinterno della Scuola Elementare del Teatro diretta del regista Davide Iodice, la compagnia Matremo Teatro decide di riproporre senza tema la gargantuesca opera-testamento di Annibale Ruccello: Mamma Piccole tragedie minimali.

Questo mix di quattro atti e altrettante mater familias nato nel 1986 dalla penna del fu giovane drammaturgo di Castellamare di Stabia e da lui scritto per la propria personale interpretazione, si rivela essere una scelta quanto mai felice per le teatralmente neonate Angela Garofalo, Monica Palomby, Roberta Frascati e Caterina Di Matteo che, scettro indiscusso delle donne alla mano, danno nuova vita al «musicale scassato», imbevuto fino al midollo di campanità. Muovendosi, infatti, nel contesto di una regione (e di uno Stato tutto, considerando che perfino sua santità professa gesti di difesa a dir poco estremi. Per non dimenticare: «Se uno mi offende la madre, gli do un pugno») legata fino al parossismo alla figura della mammá, Ruccello mira a scardinare tale congiuntura rivelando la natura più che umana di chi è costretto a generare, anche quando vorrebbe divorare.

Lo scontro edipico tra madri e figlie che prende piede sulle rive di uno Stige rosso sangue, allora, segue la struttura canonica del testo originale (Le fiabe, Maria di Carmelo, Mal di denti e La telefonata) e si srotola tra quadri semplici eppure ficcanti in cui le attrici danno prova di essersi avviate sul sentiero di un processo artistico autentico. Il madornale (nel senso arcaico del termine: da parte di madre) disagio lirico, evocato sia dalla sedia sgarrupata sia dalle vesti veraci, unito alla lenta composizione di una Madonna del Dolore sul fondo, tingono di femminile la mise en abyme del Matremo Teatro, prima accarezzando il nascituro e poi strozzandolo senza pietà. Lorizzontalità territoriale del tema, inoltre, dà adito anche a speculazioni di natura metalinguistica. Avrebbe senso, oggi, portare al di fuori dei confini dialettali questo figlio di una lunga tradizione matriarcale in grado di risuonare negli animi di chi, come tutti, è stato generato e non creato della stessa sostanza della madre? A giudicare dalla risposta degli astanti, parrebbe proprio di sì.

Aprendo una piccola parentesi sospinta dai bellissimi incontri pomeridiani con gli artisti coinvolti nel festival (e quindi scaturita dai frutti più concreti della creazione del comune), entrambi gli spettacoli, così come i due della giornata precedente, sembrano essere caratterizzati da unenunciazione monodirezionale che potrebbe ricondursi, forse, a una mancanza di interlocuzione comunitaria a livello quotidiano. Privati noi tutti di tale momento di condivisione, infatti, il gesto teatrale parrebbe piegarsi sempre più verso un fine relazione e interazionale che esula dal vizio di forma meramente venale e diventa lunico strumento a noi accessibile per comunicare, o perlomeno per essere ascoltati. Basando questa riflessione su un semplice (e forse semplicistico) spirito di osservazione, risulta legittimo affermare che lassuefazione allindividualismo fomentata dallo sviluppo esponenziale di tecnologie e pratiche moderne tendenti più allatomizzazione delle relazioni che allampliamento di orizzonti umani abbia a sua volta spianato la strada a una restituzione drammaturgica di tematiche microscopiche ben lontane da un teatro antropologico e di ricerca socio-politica come era quello di, per rimanere in tema, Ruccello, giustificando en passant anche la recente produzione esplosiva di certe realtà periferiche storicamente avulse alla grande produzione artistica che forse, oggi più che mai, sentono la necessità di fare arte per affrancarsi da un passato operaio e contadino, con tutti gli stigmi del caso.

Gli spettacoli sono andati in scena allinterno del *Festival *Troia *Teatro Tuttunaltra Troia
Palazzo Vescovile

piazza Monsignor de Santis Troia
giovedì 4 agosto
ore 21.30

Niente panico*
*vaneggiamenti di un patafisico involontario

di Luca Avagliano
luci Marco Santambrogio
scena Eva Sgro
collaborazione alla messa in scena Daniela Marra
la canzone Filumè è stata musicata da Michele Maione

Chiostro San Benedetto
piazza Giovanni XXIII Troia
giovedì 4 agosto
ore 22.55

Matremo Teatro presenta
Mamma Piccole tragedie minimali
di Annibale Ruccello
con Roberta Frascati, Angela Garofalo, Monica Palomby, Caterina Di Matteo
costumi Matremo Teatro