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Persinsala intervista Maria Macrì, con Michele Pagano, deus ex machina di Ouverture Festival che dal 21 al 27 settembre sta invadendo il borgo di San Leucio, trasformandolo in un grande paloscenico a cielo aperto.

Come e quando nasce l’avventura di Overture, festival organizzato a San Leucio (CE), dal 21 al 27 settembre, da Officinateatro?
Maria Macrì: «Il Festival nasce nel 2012, dopo qualche anno di stagione invernale di Officina Teatro, nel momento in cui ci siamo resi conto che nella provincia casertana mancava un appuntamento, un festival nello specifico, che raccogliesse tutte le arti performative e offrisse una panoramica completa, un contenitore adatto.

Mi piace raccontare un aneddoto, la scintilla che ha fatto scattare la macchina del festival e iniziare la nostra avventura. Michele Pagano (direttore artistico, ndr) durante alcune notti in cui stava provando Due, spettacolo con in scena due attori giovanissimi della nostra scuola di recitazione, si accorse che il lavoro non era pronto, non era adatto alla stagione teatrale strutturata. Sentì, allo stesso tempo, l’esigenza di farlo debuttare e immaginò un contenitore precedente alla stagione, una sorta di preview che offrisse spazio ai nuovi linguaggi, alle nuove leve, ai giovani e giovanissimi talenti emergenti.

Detto fatto: come spesso accade in questa nostra famiglia teatro. La prima edizione è andata in onda nel mese di settembre, concretizzando un’idea nata solo a luglio, quindi naturalmente caratterizzata dalla fretta e, soprattutto, caricata di adrenalina e mossa da entusiasmo e passione. Da allora abbiamo coinvolto i nostri allievi, tuttora pilastri del festival, chiamato amici artisti che hanno donato la loro partecipazione con grande gioia, riuscendo a creare uno staff anche questo fatto di amici, moltissimi tra loro ancora e sempre presenti sia durante il festival che in stagione. Dopo questo primo anno, fatto di teatro e molta musica, dal secondo in poi abbiamo inserito stabilmente le perfomance.

Una parola sulla gratuità per le compagnie che proprio dalla seconda edizione ė scomparsa nonostante gli inevitabili limiti del nostro budget e la nostra scelta di un festival autofinanziato con la collaborazione di conoscenti, sostenitori (Ouverture premia con ingressi scontati, omaggi, tshirt e altri gadget le diverse modalità di sostegno), commercianti, ristoratori, albergatori che ci supportano con convenzioni o sponsorizzazioni totali,

Di anno in anno stiamo salendo scalini, costruendo una rasesgna anche e soprattutto insieme agli artisti partecipanti con cui ci confrontiamo e dai quali raccogliamo suggerimenti e, man mano riusciamo a integrare perfomance, installazioni, spettacoli, compagnie – se possibile – poco visibili al grande pubblico che individuiamo attraverso la ricerca personale che con il direttore artistico svolgiamo durante l’anno spostandoci nei vari luoghi d’Italia».

Il Festival è un grande e, ormai, consolidato appuntamento di Arte Contemporanea multidisciplinare. Qual è l’obiettivo che vi siete proposti in questa quarta edizione?
MM: «Questa edizione e stata particolarmente ricca di pubblico, artisti, incontri e, nonostante finisca oggi, possiamo azzardare un primo bilancio.

Un obiettivo era che il festival, come avviene nella stagione teatrale ormai da quattro anni, iniziasse a ospitare compagnie non solo vicine, ma provenienti da tutta italia. Da questo punto di vista, la prima pietra è stata ormai posta. Inoltre abbiamo inserito la danza performativa convinti di una stretta congiunzione tra teatro e danza e ospitato due compagnie giovanissime, sempre in accordo con la nostra linea, rispetto alle quali il riscontro del pubblico ė stato molto positivo, i commenti entuasisti e le richieste di continuare su questa linea appassionate.

Incuriosire una platea non solo locale e coinvolgerla era un’altra delle scommesse di quest’anno e, in effetti, abbiamo avuto presenze da Salerno, Aversa, Roma e anche telefonate dal Nord per verificare la possibilità di permanenza e di questo traguardo possiamo dirci naturalmente soddisfatti.

Il pubblico ė aumentato e si sta sempre più diversificando tra giovanissimi e intere famiglie e anziani del luogo, questi ultimi attirati e incuriositi soprattutto dalle perfomance di Habitat, letteralmente disseminate lungo il Viale degli Antichi Platani antistante il Teatro e nel borgo di San Leucio.

Noi da sempre puntiamo sul coinvolgimento del paese con alcune perfomance che si svolgono in case e cortili di privati per tutta la durata del festival».

Quali sono gli eventi e gli spettacoli imperdibili perché hanno reso al meglio il senso di questa edizione del festival?
MM: «Naturalmente a nostro parere sono stati tutti imperdibili! La nostra scelta ė caduta su ognuno di loro proprio per questo motivo, anche se possiamo differenziare tra teatro e perfomance per singolo o pochi spettatori, installazioni, mostre, danza e in base al gusto del pubblico considerare imperdibile l’uno o l’altro settore del festival.

Ci pare che questa nostra scelta di contaminazione sia stata vincente perché permette al pubblico di scegliere davvero la situazione artistica in cui maggiormente si riconosce: accade, infatti, che alcuni arrivino da noi attratti da uno specifico spettacolo o altro, ma si soffermino successivamente anche su altro, restituendoci poi verbalmente la loro soddisfazione».

Il dibattito su teatro tradizione e sperimentale, che usa nuovi linguaggi e forme di espressione è più vivo che mai: cosa pensa del primo e quale ritiene che sia la sfida del secondo?
MM:«Non c’è dubbio che il teatro tradizionale abbia posto basi importantissime da cui non si può prescindere, che va portato con noi come fondamentale bagaglio culturale. Allo stesso tempo penso che comunicasse in un determinato periodo storico e quindi con modalità diverse da quelle attualmente necessarie.

Esiste, infatti, un paralllelismo tra il teatro tradizione e il teatro contemporaneo. Ciò che è ora tradizione allora era contemporaneo ed è inevitabile e necessario che il teatro adatti il proprio linguaggio a quello attuale.

Noi crediamo nella funzione di ïnsegnamento – inteso in senso lato – del teatro, riteniamo che sia indispensabile che porti lo spettatore in una dimensione reale: ciò che accade sul palco può accadere in altro luogo e in altro momento a chiunque. Utilizzare un gergo lontano dalla situazione odierna può contribuire ad accrescere il gap che in parte esiste tra spettatori e attori e quindi allontanare il pubblico dal teatro invece di avvicinarlo.

La sfida del teatro definito contemporaneo – il cui significato peraltro non è che di questo tempo, qui e ora – è paradossalmente quella di farsi accettare. Pur utilizzando i canoni del quotidiano ancora viene vissuto da parte del pubblico come situazione culturale di nicchia, riservato a pochi esperti, in alcuni casi addirittura solo agli addetti ai lavori, mentre, al contrario, dovrebbe essere il teatro di tutti e il teatro deve essere di tutti.

È anche vero un fatto: alcune compagnie presenti sulla scena nazionale, che avrebbero il dovere etico di essere i primi e più diretti interlocutori di quella parte di pubblico dubbioso, incerto, spesso timoroso, tendono a volte ad elevarsi al rango di artista lontano, assumendo atteggiamenti quasi – mi si passi il termine – snob e rivolgendo le proprie attenzioni esclusivamente (o quasi) alla critica e agli operatori.

A nostro parere questa modalità si rischia di farci perdere il fondamentale ruolo di comunicatori di cultura e di scambio tra spettatore e artista, di farci dimenticare il senso vero del teatro e quella semplicità che al contrario riconosco essere caratteristica peculiare proprio del teatro di tradizione».