Al Teatro Franco Parenti un testo coraggioso, scritto e interpretato da donne: quando l’altra metà del cielo si ribella.

Nel fitto delle parole domina il silenzio: il silenzio di un dio distante, maschio, padre e padrone. Sulla terra domina la violenza, esemplificata dal sopruso sulla donna: figlia o moglie, prostituta di strada o escort, sana o disabile mentale. E a commetterla il tutore dell’ordine costituito, che dovrebbe proteggere le “pecorelle smarrite”: colui che indossa l’abito talare, l’unto dal Signore, il sacerdote.

Oramai le cronache sono piene di denunce contro preti pedofili. Ma, nonostante ciò, e gli scandali altrettanto gravi che hanno coinvolto lo Ior – la banca vaticana – quello che fa più impressione non è la singola colpa quanto il sistema che quella colpa dovrebbe giudicare e punire.

Il testo di Eleonora d’Urso ha una forza di linguaggio inusuale per i teatri italiani: le parole colpiscono nel segno con crudezza per la loro veridicità; i cinque personaggi – che si raccontano in successivi monologhi inframmezzati da brevi stacchi musicali – sono delineati con mano ferma e precisa: ritratti fedeli della realtà presente e dei ruoli che le donne ricoprono in una società dominata dai maschi; la fede sincera, un dio silenzioso, il sacerdote che stupra la mente prima ancora del corpo delle “pecorelle smarrite” sono i comprimari: sempre presenti nei racconti delle donne, assurgono a protagonisti assoluti  pur nella loro assenza fisica.

Uno spettacolo che all’estero farebbe il tutto esaurito: coraggioso, intelligente, ben equilibrato tra momenti più leggeri e altri di estrema drammaticità, splendidamente interpretato da cinque attrici che meriterebbero la standing ovation. E invece, in sala saremo una quindicina di persone. Argomento troppo scabroso? So già che riceveremo in redazione decine di proteste contro questa recensione proprio perché la risposta di molti sarà affermativa. Così ci è capitato con Shopping and Fucking, in scena all’Elfo la scorsa stagione.

Eppure il teatro – quando è davvero teatro – deve essere specchio della società: l’individuo dovrebbe sedersi in platea e, guardando il palco, riconoscersi in quelle storie, in quelle parole. I greci non temevano di ritrovare la propria immagine riflessa nell’incesto di Edipo. Gli italiani – soprattutto la cosiddetta élite intellettuale milanese – temono forse di vedersi rappresentati come ipocriti conformisti? Eppure le trasmissioni sulle escort fanno il pieno di ascolti.

Tirare il sasso e nascondere la mano? In teatro, in questo magico luogo di illusioni, non è possibile sfuggire andando in cucina a prendere un caffè o ridere imbarazzati e scrollare le spalle, liquidando il problema. Queste storie ci riguardano tutte e solo una donna poteva avere la forza di denunciare la violenza, quella che va in scena ogni giorno, nelle nostre strade, nelle chiese, nella case e anche sui teleschermi e nelle aule del Parlamento, contro il corpo e la libertà di scelta di altre donne. Perché ancora più delle singole vicende, o dei torti che potrebbe commettere il “buon pastore”, colpisce che a giudicare – laiche, cattoliche, agnostiche e atee – debba essere una sola chiesa – investita del dono della verità assoluta – che, spregiando il libero arbitrio, ha deciso di mandarci, contro la nostra stessa volontà, tutte in Paradiso. E allora ecco che la vittima deve auto-convincersi di essere colpevole: colpevole sul palcoscenico di essere stata violentata da un sacerdote, colpevole nella vita quotidiana di non volere un figlio, lasciare il marito, ricorrere all’inseminazione artificiale – magari eterologa perché lesbica – o di chiedere di staccare il tubo, che la tiene legata alla sopravvivenza di un involucro di sofferenza incomunicabile.

In un’Italia dove una chiesa rivendica il contraddittorio – in una trasmissione laica di uno Stato che dovrebbe essere laico – per rispondere a Beppino Englaro e a Mina Welbi – dall’alto del pulpito giudicando chi ha provato sulla propria carne la sofferenza della perdita – e in attesa che anche le chiese si aprano al contraddittorio, perché le donne salgano su quel pulpito – che è loro precluso perché donne – per raccontare la propria idea di universo-mondo, ebbene fino ad allora resta il teatro. Perché sedersi in platea per assistere a Mea Culpa è, prima di tutto, esercitare un diritto.

Lo spettacolo continua:
Teatro Franco Parenti

via Pier Lombardo 14 – Milano
fino a domenica 19 dicembre
orari: da martedì a domenica, ore 19.00

Mea Culpa
di Eleonora d’Urso
regia Eleonora d’Urso
con Fatima Corinna Bernardi, Daria D’Aloia, Silvia Degrandi, Eleonora d’Urso e Silvia Pietta