Ritratto di artista

mittelfest-recensioneLa prima giornata del Mittelfest – a Cividale del Friuli – si apre con una collaborazione Italia/Croazia, l’attesa prima assoluta di Michelangelo di Tomaž Pandur, tratto dall’omonimo dramma di Miroslav Krleža.

Confrontarsi con i mostri sacri della cultura italiana non è mai semplice. Analogamente a quanto accaduto al “sommo” Eimuntas Nekrošius con la Divina Commedia (che debuttò, tra l’altro, proprio al Mittelfest nel 2012), anche allo spettacolo di Pandur sembra, infatti, sfuggire la topica complessità del Made in Italy. Di un paese, il nostro, all’estero spesso incomprensibile tanto nel male dove gli esempi, soprattutto in campo politico-istituzionale, si sprecano, basti ricordare la performance cabarettistica di un recente primo ministro, allora anche presidente del Consiglio europeo, che dava del Kapò a un europarlamentare socialdemocratico. Come anche nel bene, in quanto dotato una peculiarità culturale specifica e inarrivabile, in modo particolare, nel caso di illustri esempi del passato artistico.

Se, infatti, nella celebre cantica dantesca troviamo uno dei vertici della letteratura mondiale, in quella di Michelangelo Buonarroti possiamo – a buon diritto – riscontrare le caratteristiche emblematiche di un certo modo “romantico” di considerare l’artista come essere tormentato e visionario, inquieto e insoddisfatto, vulcanico e poliedrica; e tratti di una figura decisiva e dominante al punto tale da influenzare l’arte nei secoli successivi (da un processo di “fare alla maniera di”, nacque nel XVI secolo il successivo movimento del manierismo) e capace di far discutere ancora oggi.
Non a caso, gli aggettivi utilizzati esplicitamente – dalle note di regia come dal protagonista nel corso dello spettacolo – per descrivere l’oggetto/soggetto dell’ultima fatica del regista croato sono stati: “titano dell’arte” (il riferimento romantico è, dunque, dichiarato) e  “genio” (altro termine chiaramente romantico) caratterizzato da “tormento, estasi, conflitti interiori e intimi impulsi”.

Questo curioso (pur non innovativo) ruolo di narratore interno del protagonista rappresenta la prima interessante intuizione della drammaturgia di Livjia Pandur (che, con Tomaž, ha curato l’adattamento); un primo elemento, che, da subito, assieme a un utilizzo – a tratti – caravaggesco delle luci, incuriosisce e fa ben sperare. Particolarmente accattivante risulta pure la visione del pavimento inondato d’acqua (ambiente già utilizzato ne La Divina Commedia e in Amleto e, ormai, marchio di fabbrica di Pandur), il cui scroscio accompagna coerentemente le musiche in stile new age e si riflette sulla sommità del teatro, creando dei suggestivi giochi di luce.
Colpisce d’impatto anche l’impostazione geometrica della scenografia – una impalcatura cava costituita da assi incrociate. Ideata in modo tale da dare l’effetto di un ponteggio da lavori in corso, sarà attraverso di essa che i personaggi entreranno in scena e sarà al suo interno che si determineranno le dinamiche dello sfondo psichico ed emotivo di Michelangelo. Un espediente funzionale alla determinazione di quella dialettica tra Grund onirico/creativo (nell’utilizzo semantico del termine tedesco che Ferenc Molnár fa ne I ragazzi della via Pal, traducibile con campo, ma anche fondamento) e primo piano reale, e funzionale all’espressione di quelle stesse dinamiche che costituiscono il fulcro drammaturgico della pièce. Ovvero “El gran Teatro de Michelangelo Buonarroti”. Viste le premesse, il curriculum di Pandur e il testo di Krleža (scritto a pochi mesi dalla fine della prima guerra mondiale, quindi in piena tragedia umanitaria), i requisiti sembrano quelli di un lavoro eccezionale. Purtroppo, così non è stato, e la riduzione teatrale di Michelangelo sconta, paradossalmente, peccati di gioventù.

Se, dal punto di vista interpretativo, i lunghi silenzi e le continue pose plastiche cui sono costrette le prove attoriali sembrano tendere a una sorta di riduzione al minimo (altra bella intuizione rimasta, forse, non adeguatamente espressa), lo sviluppo registico sembra indugiare senza delicatezza, o profondità, sulla continua ricerca dei “confini estremi della forma classica”. Un limes al quale Michelangelo-Badurina, stremandosi e contorcendosi sullo sgabello e sul pavimento, anelerà per tutta la durata della pièce. Tuttavia, il tentativo registico di raggiungere l’omogeneità narrativa attraverso la creazione visiva di una “struttura aperta” costringe gli attori, al termine di ogni scena, a trovarsi didascalicamente impigliati in monologhi ridondanti rispetto alle azioni sul palco e, talvolta, incoerenti rispetto alla visionarietà – “esaltante e ardita” – ricercata da Pandur. Una tensione incompiuta, quella realizzata in scena, che perde e (fatto ancor più grave) fa perdere di vista – a livello simbolico e verbale – i travagli esistenziali e artistici del genio, mancando, di fatto, una drammatizzazione sintattica compiuta e credibile.

L’ambiguità/potenza artistica del Michelangelo di Pandur viene, in questo modo, restituita attraverso un artista che scopriamo essere il soggetto “passivo” di un racconto e la cui condizione umana si trova agita da un daimonion e da una divina follia (che – secondo gli antichi greci – stava alla base del delirio creativo) ma che, nell’alternanza anacronistica di elementi visivi didascalici e narrativi prolissi, finisce per cadere sotto il peso del proprio eccesso di ambizione. Un rischio ammesso più o meno implicitamente con l’insostenibile ripetizione – attraverso gli attori – delle intenzioni scritte nelle stesse note di regia; una verbosità estrema che possiamo, per esempio, individuare nell’invettiva ai falsi credenti. Quei preti-marionette incapaci di resistere alla tentazione di mettersi in posa al suono di un clic fotografico, e che celano – sotto le vesti sacre – costumi da nuotatori, ovvero da esperti del mondo essenzializzato da Pandur nell’elemento primario dell’acqua.

Uno spettacolo che, ironicamente, potremmo descrivere, identificandolo con la sua lunga introduzione: la proiezione di immagini tratte dagli affreschi della Sistina che, con il passare dei minuti, si sfaldano e, incupendosi, perdono armonia, in una sorta di malaugurata e autoreferenziale profezia che si autoavvera.

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foto di Daniele Rizzo

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Nuovo Giovanni da Udine
Via Trento, 4 – Udine
12 luglio 2013, ore 21:30

Mittelfest presenta
in Prima Assoluta (Croazia Italia – Percorso Première)
Michelangelo
dal dramma omonimo di Miroslav Krleža
regia Tomaž Pandur
con Livio Badurina (nel ruolo di Michelangelo), Alma Prica, Iva Mihalić, Ivana Boban, Damir Markovina, Kristijan Potočki, Andrej Dojkić, Tomislav Krstanović, Romano Nikolić, Ivan Ožegović, Adrian Pezdirc, Jure Radnić
drammaturgia Livija Pandur
adattamento Tomaž Pandur, Livija Pandur
scene Sven Jonke (Numen)
costumi Danica Dedijer
video Dorijan Kolundžija (Gallery 12+)
musiche SILENCE
disegno luci Andrej Hajdinjak
consulenza lingustica Đurđa Škavić
assistente regia Paolo Tišljarić
assistente drammaturgia Mirna Rustemović
assistente costumi Tea Bašić
fotografo Aljoša Rebolj
direzione palcoscenico Roko Grbin
coproduzione Teatro Nazionale Croato di Zagabria – Zagreb, Mittelfest 2013, Pandur.Theaters
in collaborazione con il Teatro Nuovo Giovanni di Udine