Shattered dreams

A differenza dei sogni d’amore di Johnny Hates Jazz, qui è l’American Dream con le inziali maiuscole a infrangersi per sempre. Nel 1949, come oggi, il binomio consumismo/capitalismo è messo alle corde: ieri da Arthur Miller, in questi giorni dalla magnifica interpretazione di Elio De Capitani.

Arriva anche a Pistoia il capolavoro di Arthur Miller, Morte di un Commesso Viaggiatore, nella versione targata Elfo Puccini (dove lo spettacolo ha debuttato nel gennaio dell’anno scorso). Il ruolo di Willy Loman e la regia sono di Elio De Capitani, che conferma non solamente il suo indubbio talento attorale ma anche quella visione espressionista del fare teatro, intessuta di volute forzature interpretative e un insieme di luci, suoni e musiche che sottolineano ogni passaggio, dalle sfumature umorali ai cambi di scena a vista, dalla discesa nell’incubo caotico di una mente sconvolta (il sottotitolo, Inside his head) alla risalita verso un Eden perduto, disseminato di dolci ricordi e possibilità non colte.
La ricerca dell’Elfo Puccini nella drammaturgia statunitense del Novecento è seria e sicura ma quello che colpisce, nello spettacolo, è l’attualità del testo di Miller: nulla sembra cambiato da quel 10 febbraio del 1949 (data del debutto a Broadway). Il sogno americano è stato infranto più volte, ormai, eppure risorge sempre dalle sue ceneri per ricreare, ogni volta, nuove sciagure personali e collettive (perché se il Vietnam sembrava un punto di non ritorno, la perdita dell’innocenza per un’intera generazione e almeno per quella successiva, gli oltre vent’anni di continue guerre nel bacino del Mediterraneo e in Medio Oriente ci insegnano che la coscienza occidentale fa presto ad assopirsi e a dimenticare).
Qui, il sogno americano di diventare ricchi (perché la barzelletta è sempre quella: se sei in gamba, negli States, di certo “ce la farai”), sentito fin nel midollo da Willy Loman, commesso viaggiatore sul viale del tramonto, si confronta con i limiti di quella ricchezza agognata – che non può essere tale se non è anche supportata dal successo e dalla fama. Non basta, infatti, aver finito di pagare le rate del mutuo? Possedere gli elettrodomestici che ci rendono la vita “più facile”? Avere due figli sani con tutta una vita davanti a sé? La risposta è no, perché – come nella canzone di Jerry Hannan, Society: “I think I need to find a bigger place/Cause when you have more than you think/You need more space” – questo genere di esistenza è in realtà un circolo vizioso: se si ha una casa, si vuole la villa o la seconda al mare; o, per scendere negli abissi della nostra infima follia quotidiana, se si ha un iPhone 5, bisogna comprare l’iPhone 6 – o non si è. Sì, perché l’alternativa è proprio questa: l’essere o non essere di amletica memoria si è ormai ridotto al possedere oggetti, che appena compriamo ci hanno già stancato e che dobbiamo sostituire in fretta per essere “come gli altri” – in questa nostra costruzione di un io personale che è il pallido riflesso di quell’io mediatico da Grande Fratello che, lungi dal condizionarci a una visione socialista del mondo, ci rinchiude ogni giorno di più nel lager arido delle nostre piccole esistenze di consumatori frustrati.

Ma i livelli, in Miller così come in tutte le produzioni del Teatro dell’Elfo (e ci permettiamo di togliere Puccini perché vogliamo tornare a quella matrice fassbinderiana che ha caratterizzato per oltre trent’anni l’attività di uno dei teatri più validi e innovativi di Milano), sono sempre molti e, al di sotto del sogno irrealizzato e irrealizzabile di grandezza, vi è la pietosa critica umana, quella compassione per l’uomo Willy Loman, per il padre di famiglia, che sceglie il suicidio, pensando di realizzare almeno i sogni di coloro che ama: il successo per l’adorato Biff, il pagamento dell’ultima rata del mutuo per l’affezionata moglie, Linda. Perché un uomo non vale per se stesso, bensì in quanto valore di mercato e quello dell’ultrasessantenne Willy Loman – come dei milioni di statunitensi ed europei che stanno pagando con le proprie vite la crisi economica (che, ricordiamoci, è figlia della speculazione e del liberismo selvaggio made in Us) – è pari a zero. Business is business, gli affari sono affari, e in Italia possiamo anche indorare la pillola parlando di mobilità, invece che di licenziamento secco, ma il risultato è lo stesso. Inutile inventarsi sempre nuovi termini (una delle attività preferite dai nostri politici rampanti), quando sei fuori sei fuori – e a sessant’anni, ma anche a cinquanta, il mondo del lavoro ti rifiuta. Perché la tua capacità di produrre quel margine economico – che un capitalismo sempre più feroce pretende – si riduce troppo e tu non vali abbastanza e, quindi, non conti più nulla.
Dall’altro lato, il filo di speranza, la possibilità di riscatto, Miller li indica nel rifiuto di quel sogno, nell’accettazione di se stessi come esseri umani, e li esprime nelle ultime battute di Biff (ottimamente interpretato da Angelo Di Genio). Perché, se nel 1949 un uomo valeva un dollaro all’ora, oggi non vale molto di più, come dimostrano le ultime vicende statunitensi, di quel Paese tanto agognato dove l’assistenza sanitaria è ancora un miraggio per milioni di cittadini, così come una paga in grado di garantire loro la sopravvivenza. E non a caso, negli States, Obama non solo non è riuscito a fare una riforma seria del sistema sanitario – copiando, per una volta, noi europei – ma nemmeno a imporre l’innalzamento del salario minimo per tutti i lavoratori (mentre non ha avuto problemi a finanziare, guerre, industrie degli armamenti e banche in crisi).
Gli elementi per uno spettacolo con le gambe lunghe ci sono tutti – testo, regia, interpretazione, scene (di Carlo Sala, estremamente funzionali), luci, costumi, musiche e suoni: ci auguriamo, quindi, che la tournée continui a lungo.

Lo spettacolo continua:
Teatro Manzoni
corso Gramsci, 127 – Pistoia
mercoledì 29 e giovedì 30 aprile, ore 21.00
venerdì 1° maggio, ore 16.00

Morte di un commesso viaggiatore
di Arthur Miller
traduzione Masolino d’Amico
regia Elio De Capitani
scene e costumi Carlo Sala
scene realizzate nel Laboratorio del Teatro dell’Elfo
luci di Michele Ceglia
suono di Giuseppe Marzoli
con Elio De Capitani [Willy Loman], Cristina Crippa [Linda Loman], Angelo Di Genio [Biff Loman], Marco Bonadei [Happy Loman], Federico Vanni [Charley], Andrea Germani [Bernard], Gabriele Calindri [Ben], Alice Redini [La Donna/Letta], Vincenzo Zampa [Howard Wagner/Stanley], Vanessa Korn [Miss Forsythe/Jenny]
produzione Teatro dell’Elfo con il contributo di Fondazione Cariplo