Il neo-folk, il passato mitico

Al Circolo degli Artisti, la data romana del fondatore degli Slowdive Neil Halstead: la sua voce, la sua chitarra e il suo cappello di lana, niente di più.

Tra i fenomeni più indicativi emersi negli ultimi anni nell’orizzonte delle più recenti proposte musicali, spicca una rinnovata tendenza al folk. L’ondata neo-folk, caratterizzata da un minimalismo tipico della stagione d’oro del genere (e per minimalismo intendiamo arrangiamento elementare, spesso riservato alla sola chitarra che accompagna la voce), è tornato in auge in maniera paradossale; ulteriore testimonianza di tale revival è per esempio l’uscita proprio quest’anno di un film come A proposito di Davis dei fratelli Coen.

Ma torniamo alla musica in senso stretto e al neo-folk contemporaneo: il paradosso a cui si accennava diventa evidente considerando la tendenza al folk in rapporto alla cultura postmoderna nella quale siamo immersi. In un’epoca di invasività e pervasività di immagini, suoni e messaggi, nei giorni del dominio dell’elettronica, dei nuovi mezzi di comunicazione e dell’horror vacui, sembra quasi che tornare all’essenziale del folk diventi una forma di difesa, la possibilità di proiettarsi in un passato mitico dove rifugiarsi dal caos catastrofico che fuori impera.
Molti gli artisti e i gruppi che possono essere ascritti al neo-folk, anche quando effettivamente il folk diventa solo un punto di avvio per sperimentazioni articolate e originali. Neil Halstead è uno dei più validi rappresentanti di questa ondata neo-folk, ma lui nel folk ci resta in tutto e per tutto senza utilizzarlo come trampolino per qualcosa di nuovo: la sua voce si fa compagnia esclusivamente con la sua chitarra e la sua armonica.

Fondatore degli Slowdive, band nota della scena post-rock e shoegaze degli anni ’90, Halstead incarna in sé quel paradosso di cui stavamo parlavamo: dalla complessità e dalla pienezza del suono della sua esperienza musicale  precedente, il cantante britannico è tornato alle origine del rock e della canzone, allo scheletro, o all’unità primigenia. Di origine infatti si tratta: al Circolo degli Artisti Halstead si serve solo della sua voce morbida e della sua chitarra, sulla quale le mani scorrono soffici quasi la accarezzassero. Gli arpeggi, i pizzicati ma anche il volto barbuto e la testa coperta dal cappello di lana, rendono l’occasione una manifestazione di qualcosa di anacronistico, e perciò di speciale e di bello. E questa tensione dialettica si è registrata anche nel netto contrasto col concerto di apertura degli ottimi e potentissimi Junkfood. 

Certo, c’è da dire che Nick Drake è morto giovane e molto tempo fa, e il tono e lo stile sembrano troppo dipendenti dall’indimenticato maestro e genio. Ma il passato mitico funzione comunque, soprattutto quando è necessario difendersi dalle sciagure causate dal nostro malato presente.

Neil Halstead in concerto
Circolo degli artisti
via Casilina Vecchia, 42 – Roma
giovedì 3 aprile, ore 21.30