Il teatro della dissoluzione di Ene Liis Semper

La Biennale Teatro ha ospitato due spettacoli di Theatre NO99 di Ene Liis Semper e Tiit Ojasoo che hanno colpito per l’impressionante potenza delle immagini.

Durante la Biennale del centenario, nell’ormai lontano 1995, fecero molto scalpore le tele dell’artista polacco Roman Opalka. Grandi tele grigie su cui l’artista aveva scritto solo numeri progressivi in colore bianco. I numeri riempivano tutte lo spazio a scandire il tempo dell’immagine e dell’opera. A fianco di ogni quadro due foto, autoritratti dell’artista nel suo progressivo invecchiamento. Opalka aveva dedicato tutta la sua vita a quell’unica opera, ogni giorno ossessivamente. E il grigio della tela, con il passare del tempo diventava sempre più diafano, pallido, in un viaggio di sola andata verso quella finale dove tempo e vita si sarebbero annullate nel nitore abbacinante del bianco.
Il Theatre NO99 fondato in Estonia da Ene Liis Semper e Tiit Ojasoo condivide, in un certo senso, il percorso di Opalka. Ogni produzione scandisce un lento countdown verso lo zero, dove ogni attività della compagnia si interromperà, a sancire la fragile vita della scena, arte impermanente dove nulla resta se non pallide rovine. Ene Liis Semper racconta che ogni nuova produzione è vissuta come se fosse l’ultima e che :«avanzare verso lo zero porta in sé un volontario e convinto seppuku, un inconfutabile movimento verso la fine».
Ogni opera di Theatre NO99 è quindi parte di un’unica catena concettuale di lavori che tende verso la dissoluzione del teatro stesso. Come un mandala di sabbia pazientemente e abilmente costruito dai monaci tibetani giunto alla sua conclusione si disfa e si sgretola, così l’azione teatrale del duo estone tende a scomparire nel nulla.
Una scelta estrema che comporta una incredibile concentrazione sul momento attuale in cui si opera. Ogni nuovo lavoro è vissuto come un ultimo passo o scalino verso lo zero, ed è goduto e sperimentato con la consapevolezza che non tornerà più mai. Come il corvo di Poe ogni nuovo evento sulla scena recita il suo Nevermore.
Alla Biennale Teatro Ene Liis Semper porta due lavori estremi, tremendamente visionari, potenti e terribili: NO43 Filth e NO42 El Dorado The Clowns’ Raid of Distruction.

NO43 Filth presenta nove attori in una sorta di spazio chiuso e angusto, il pavimento cosparso di fango. Non c’è testo da recitare, né parti da impersonare. Ogni attore è se stesso e nulla più. In questo luogo desolato e sporco, si scandaglia una deriva di violenza e di miseria. La sporcizia evocata dal titolo imbratta i corpi, le vesti e le anime degli attori. Come i dannati di Dante vinti dall’ira son confitti nel fango in eterna lotta, così gli attori vivono il loro calvario in questa lorda pozza, dannati anch’essi dalla rabbia, dalla violenza e dalla solitudine delle vita. Un incedere tremendo, quasi senza scampo né speranza, in un ritmo incessante verso un non luogo «giù giù verso l’immondizia» per citare Beckett. Vi è in questo lavoro una certa atmosfera che ricorda Pina Baush, ma in maniera molto lontana come fosse un’eco. Si è confitti in un’aurea di mistero sacro, come se in quel fango si compisse un rito illecito e proibito seppur necessario.
NO42 El Dorado The Clowns’ Raid of Distruction, ci porta in tutt’altro mondo scenico. Quello che appare sulla scena pare il mondo evocato dal racconto di Oderico Vitale che nel lontano secolo XII riporta le parole di un monaco testimone del passaggio notturno della demonica schiera di Harle King: il demone mascherato seguito da una masnada di essere deformi e selvaggi che conducono le anime sofferenti in un viaggio verso nessun luogo. Dietro la maschera del Clown si nasconde un mondo infero, tellurico, demonico. Il Clown Pennywise protagonista di It è solo l’ultima inquietante propaggine di una tradizione che nasce lontano. Un clown è disteso su un tavolaccio, come morto. Un candelabro alla base come lumino da morto a ricordarci che siamo nel funereo. E questo clown si agita irrequieto al sopraggiungere di voci arcane, che corrono nello spazio. Il clown, sorta di inquietante Prospero le comanda e zittisce, e al fine evoca la sua masnada. I pagliacci irrompono sulla scena circolare e rotante. Si sviluppa una strana processione di esseri orrendamente vestiti, deformi, di sesso ambiguo che spingono carretti colmi di poveri e miseri oggetti. Ruotano insieme allo spazio e a ogni nuovo giro di questo tremendo eterno ritorno si sviluppano immagini continue. Siamo un un mondo kantoriano, con oggetti dalla realtà del rango più basso, con attori incastrati in gesti ripetitivi, in trappole del movimento che fanno fallire ogni agire, con macchine celibi che torturano i loro possessori.
Al termine di questa processione si sviluppano azioni sempre violente, che terminano con un’amputazione o menomazione di un corpo. Un clown che acquista i testicoli viene evirato per essere alfine aggiustato con lo scotch; il clown monaco nel preparare un’orrenda ultima cena si trancia le dita/carote e fa banchetto di sé; la clown/bambola gonfiabile continua imperterrita a partorire cuscini mentre ossessiva ride come una sveglia incantata. I Clown muoiono e risorgono, si evoca la morte e la sofferenza ad ogni istante. Quello che scorre sotto i nostri occhi è un inquietante carillon che con note stonate canta la vacuità della vita. Ecco la scena finale. Il Clown dell’inizio torna sul tavolo autoptico e viene sventrato da un clown/boia che con infantile crudeltà si diverte a eviscerare il compagno che urla l’inutile brama dei mortali. Dall’alto un diluvio di palline dorate contenute in uno chapiteau inverso che come sacca ovipare di insetto seppellisce i due personaggi.
Quello che Ene Liis Semper ha messo in scena è un mistero pagano di una forza sconvolgente, un rito misterico in cui i clown sono come le assurde e mostruose divinità dei miti di Chtulu, un rito delittuoso e disdicevole seppur dovuto per gettare uno sguardo lucido sull’insensata nostra misera vita. Per quanto millenni di evoluzione ci abbiano spinto in avanti, restiamo animali ciechi mossi da insensata brama, da istinti voraci che ci precipitano in un abisso di violenza e dolore senza fine. Sotto la patina sottile che le civiltà usa per addolcire e indorare la pillola, s’agita il mondo dei clown di Theatre NO99.
Questo di Ene Liis Semper è grandissimo teatro, di altissima qualità, un teatro che utilizza tutta la sua ancestrale potenza di rito per creare immagini che non hanno quasi bisogno di parole, ma che sono talmente potenti da non necessitare di alcuna spiegazione. Dal palco scaturisce la vita, erutta violenta tutta la crudeltà che accompagna l’esser vivi, tutta la lacerante sofferenza che comporta l’esser comparse in questo vasto mondo che respira.

Gli spettacoli sono andati in scena nell’ambito di Biennale Teatro:
Venezia, varie location

martedì 26 luglio, ore 21.30
Teatro delle Tese
NO43 Filth
regia Ene-Liis Semper e Tiit Ojasoo
movimenti e lavoro sul corpo Jüri Nael
light design Petri Tuhkanen
musical design Jakob Juhkam, Tiit Ojasoo e Ene-LIis Semper
con Marika Vaarik, Helena Pruuli, Rea Lest, Rasmus Kaljujärv, Ragnar Uustal, Gert Raudsep, Simeoni Sundja, Jörgen Liik e Reimo Sagor

giovedì 27 luglio, ore 19.30
Tese dei Soppalchi
NO42 El Dorado The Clowns’ Raid of Distruction
regia Ene-Liis Semper
movimenti e lavoro sul corpo Jüri Nael
musical design Lauri Kaldoja
drammaturgia Laur Kaunissaare
con Marika Vaarik, Helena Pruuli, Rea Lest, Rasmus Kaljujärv, Ragnar Uustal, Simeoni Sundja e Jörgen Liik