Una donna “poco comune”

Molti ritengono che riportare la semplicità della vita quotidiana in teatro sia qualcosa di troppo banale, non in grado di attrarre pubblico. Eppure non è stato così per Ombretta Calco, lo spettacolo di Peppino Mazzotta, andato in scena al Florida di Firenze.

La naturalezza e la semplicità sono le chiavi di questo monologo recitato da Milvia Marigliano su testo di Pierattini. Il drammaturgo lombardo non è nuovo nel cogliere la semplicità linguistica ed emozionale della vita di tutti i giorni (nel senso di sottolineare quei lati che ci commuovono, pur nella loro banalità). Di tale matrice si fa egregiamente carico l’attrice Milvia Marigliano, rendendo insieme autentico e quotidiano il suo personaggio, con una recitazione quasi neo-realistica, senza caricature né forzature.
La signora, dall’accento lombardo, di nome Ombretta Calco, la incontriamo seduta su una panchina (collocata, forse metaforicamente, a mezz’aria). È bionda, vestita di un abito verde smeraldo (o verde speranza, se ci riconduciamo al personaggio), che risalta ancor più sulla scena nera. Ombretta un giorno si ferma sulla panchina dei giardini, vicini a casa propria. Una panchina importante per lei, in quanto è collegata ai momenti più importanti della sua vita. E questi momenti decisivi sono ricordati con discorsi diretti, con “aperte le virgolette”, con frammenti di dialogo che non trovano risposta, tanto da mandare in confusione lo spettatore – che si chiede dove si trovi davvero la signora Calco, se in un giardino, oppure altrove.
Ma questo non ha importanza. Quello che conta è che il personaggio Ombretta ci conduce nel suo mondo, nella sua vita, nelle sue sventure, nelle sue storie d’amore, nelle sue dinamiche familiari.
Ripercorre la sua esistenza con i classici “se” e “ma”, che ci poniamo tutti quando analizziamo il nostro passato. “Tutto sarebbe potuto essere migliore se quella volta avessi preso tale decisione anziché l’altra?” Oppure: “Se non avessi fatto quella cosa, dove sarei adesso?” Queste sono le domande che ci poniamo ogniqualvolta insorga un dubbio circa la nostra condizione; attribuendoci colpe, responsabilità o irresponsabilità per giustificare e continuare la ricerca della nostra idea di felicità.
Come agirebbe ognuno di noi, così si comporta Ombretta Calco. Ha rimpianti per amori falliti, senso di responsabilità nei confronti di un fratello immaturo, e tante preoccupazioni per una madre anziana, che è nel contempo fonte delle sue energie grazie a un affetto incondizionato che la salva dalla solitudine.
Lo spettacolo inizia con l’angoscia per il malore della madre e termina con un malore che colpisce la stessa protagonista, in assenza di dolore psicologico grazie alla presa di coscienza di avere conquistato la felicità, a distpetto dei “se” e dei “ ma”. Ed è qui che lo spettacolo deve decidere se arrendersi alla banalità di un finale scontato, oppure prendere una via più originale.
Di fatto non sceglie, ma a nostro parere lascia che sia lo spettatore a immaginare Ombretta abbandonata alla felicità “eterna” o, al contrario, in grado di rialzarsi da quella panchina, con la consapevolezza di avere di che gioire tornando verso casa. Là dove non l’aspetta più la madre, ma qualcun altro, che l’accompagnerà, nel bene e nel male, nel tram tram della vita, senza correre, per camminare insieme a testa alta, pronti ad assaporare la vita senza guardarsi indietro.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Cantiere Florida

Via Pisana, 111 r – Firenze

Ombretta Calco
di Sergio Pierattini
con Milvia Marigliano
regia Peppino Mazzotta
scene Roberto Crea
costumi Rita Zangari
disegno luci Paolo Carbone
scenotecnica Angelo Gallo
tecnico luci Antonio Molinaro
organizzazione e distribuzione Officine Vonnegut
una produzione Rossosimona