Assonanze e dissonanze

L’uomo, la donna, il loro comune destino. Questo sembra il filo conduttore della seconda giornata del Festival che si tiene a San Gimignano, diretto da Tuccio Guicciardini e Patrizia De Bari.

Nel tardo pomeriggio, quando le ombre cominciano ad allungarsi e la scalinata del Duomo si prepara ad accogliere il folto pubblico presente in piazza, va in scena la Compagnia Opus Ballet con Ultimi Tacti. Un assolo di chi, spaesato, si ritrova di fronte a un universo sconosciuto (metateatralmente, in quella piazza che è al centro della cultura europea, che affonda le sue radici nella polis greca, che si è fatta circo-mondo per secoli dei commedianti all’improvvisa). Ma cosa può il singolo? Ecco allora che quell’abbozzo di appropriazione della spazio, di trasformazione della geografia naturale in culturale si trasforma in un passo a due, in un tentativo condiviso di dialogo e costruzione – di segni e di significati. Ma nemmeno questo è sufficiente all’essere umano per dare un senso al proprio mondo. Solamente l’ensemble potrà dare slancio alla creatività del singolo, trasformandolo in danza – quella bellezza, che sola potrà salvarci (Dostoevskij docet).
Affascinante il cortocircuito tra danzatori e passanti: tra gesto agito nella quotidianità e appropriazione consapevole dello spazio, tra lo stupore del perturbante e la scoperta della fascinazione.

A seguire, una Madame Bovary riscritta e diretta da Luciano Colavero, con un’eccellente interpretazione di Chiara Favero, nei panni di Emma – quella immaginata da Flaubert, quella che oggi potremmo incontrare in palestra o dal parrucchiere.
Un monologo che possiede luci e ombre molto forti. Tra le luci, oltre all’ottima prova attorale, un inizio che possiede – in nuce – l’intero racconto/confessione. Quella farina che immaginiamo essere arsenico, quell’arsenico che sappiamo essere farina. In una manciata di polvere bianca si consumerà la vita/non vita di Emma. Siamo testimoni, un po’ necrofili, sul suo letto di morte, tra le mosche che ronzano attratte dall’odore della carne in decomposizione.
Però, ancora una volta è un uomo – come fu Flaubert – a voler entrare nella psicologia di una donna e non con il passo insieme lieve eppure pesante di Gustave (che poche volte, nel romanzo, cerca di sviscerare le motivazioni e le sensazioni della sua protagonista, con il distacco di un narratore imparziale, ma infarcito dei moralismi benpensanti di un’epoca che voleva la donna – borghese – moglie e madre a rammendar calzini e a sostenere a ogni costo mariti imposti o capitati per caso, pusillanimi inetti scialbi e pigri, prima ancora che fisicamente, mentalmente). Ma con una lettura tanto netta quanto non del tutto convincente del personaggio: ieri come oggi, la donna insoddisfatta è una donna annoiata. La noia di moraviana memoria ritorna causa della frustrazione, e la frustrazione genera continue fughe dal dato di realtà. Fughe che, ieri come oggi, non possono che essere frivoli piaceri, comprati col denaro, effimeri come un amante, un abito, un corso di pilates o una dieta macrobiotica.
Legittima lettura ma che, come donna, trovo abbastanza retriva. L’uomo dell’Ottocento aveva amanti (come le ebbe Flaubert) e nessuno se ne scandalizzava né, per questo, finiva in bancarotta. L’eroina dell’Ottocento doveva, al contrario, essere casto e puro angelo del focolare, una madonnina infilzata. Forse, come donna, che vive tra donne che devono alzarsi all’alba per andare a lavorare, che guardano un paio di scarpe rischiando di fare un incidente (ma hanno comprato l’auto giusta), che usano il deodorante che più sudi e più profumi, e dopo 14 ore fuori casa preparano cenette, acquistano lingerie mozzafiato, fanno brillare la vetrata per riveder le stelle e rimboccano la copertina al marito; ecco, come donna reale mi sento poco rappresentata sia da quell’avatar che mi ammicca dalla tv inventata da qualche pubblicitario maschio, sia da chi pensa che la frustrazione che si prova nasca sempre dalla noia – in un mondo che non sa più cosa sia la lentezza, il tempo vuoto, il lasciarsi vivere attraverso lo sguardo.

A conclusione di serata, il Teatro della Tosse presenta una riscrittura da Eschilo, Prometeoedio. Un lavoro profondamente ambiguo a livello di estetica, ma coerente nei contenuti.
Interessante tentativo di tragedia in forma pulp, che si giova di una dimensione fumettistica e autoironica soprattutto nell’eccellente interpretazione del coro (ben supportata anche a livello iconico dal costume allusivo), e di un finale dove, nel Prometeo/Cristo in croce, che finalmente scende dal calvario, tornando uomo tra gli uomini, e rifiutando le offerte votive umane così come le promesse di eternità divine, si riappropria della dimensione di artifex della propria esistenza – creatore e procreatore (senza nemmeno dover uccidere dio/padre, come fece Roy Batty con il dottor Tyrell nella scena cult di Blade Runner).
Convincono meno il taglio di mestiere che contraddistingue la recitazione degli altri interpreti (soprattutto Prometeo, Oceano ed Ermes) e la scelta di dare ampio spazio ad alcuni dialoghi che, in una tragedia di tre ore, avrebbero un senso ma in un lavoro con un taglio decisamente più contemporaneo finiscono per risultare prolissi. A scapito, anche, di ulteriori invenzioni – mimiche, pantomimiche o musicali – che avrebbero potuto sposarsi meglio con la chicca geniale della valigia/altarino (altamente significante).
Una discontinuità, questa, che appare quasi come una mancanza di coraggio: il timore di accelerare troppo sull’attualizzazione del Prometeo incatenato di Eschilo che, pure, nel finale ha la forza di un’affermazione in se stessa profondamente prometeica. Applausi per il Cristo/uomo che smette di essere vittima sacrificale del dio/padre, non per governare all’inferno, bensì per vivere sulla Terra.

Orizzonti Verticali Festival. Edizione 2017
da mercoledì 5 a domenica 9 luglio
San Gimignano, varie location

giovedì 6 luglio
ore 19.00
piazza Duomo
Compagnia Opus Ballet presenta:
Ultimi Tacti
direzione artistica Rosanna Brocanello
coreografia Gustavo Oliveira
danzatori Boris Desplan, Camilla Bizzi, Chiara Mocci, Gianmarco Martini Zani, Gioia Martinelli e Jennifer Lavinia Rosati

ore 21.00
piazza Sant’Agostino
Strutture Primarie presenta:
Madame Bovary
scritto e diretto da Luciano Colavero
con Chiara Favero
scenografia Alberto Favretto e Marcello Colavero
produzione Strutture Primarie – spettacolo vincitore STAZIONI DI EMERGENZA – Atto VI

ore 22.00
Rocca di Montestaffoli
Teatro della Tosse presenta:
Prometeoedio
di Emanuele Conte da Eschilo
con Gianmaria Martini, Alessia Pellegrino, Enrico Campanati, Roberto Serpi e Pietro Fabbri
regia Emanuele Conte
costumi Daniela De Blasio
luci Tiziano Scali e Matteo Selis
assistente alla regia Alessio Aronne
realizzazione costumi Umberta Burroni e Paola Ratto
direzione tecnica Roberto dAversa
produzione Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse