“Lo spirito maligno Lumpazivagabundus” (Johann Nestroy, Carl Treumann e Wenzel Scholz)

Una stagione di anniversari: tre importanti teatri milanesi festeggiano i quarant’anni: l’Elfo, il Franco Parenti, il Teatro Officina.

In altri spazi del sito si illustrano i loro cartelloni, ma a me sta a cuore condividere qualche osservazione su quest’ultima, piccola ma incisiva compagine teatrale. Non tanto sui meriti di Massimo De Vita che, quarant’anni fa, giovane e già affermato attore del Piccolo, compie una scelta politica, etica – e anche di povertà – cui è rimasto fedelmente coerente per tutta la vita; non tanto per aver saputo coniugare, nel suo percorso artistico, l’impronta marxista con l’interesse religioso (o spirituale, come lui preferisce dire), portando sulla scena le voci di grandi cattolici, come papa Giovanni XXIII e padre Turoldo, ma per la sua vocazione alla formazione.
“Un giorno smetterò di fare spettacoli”, ci ha detto nell’incontro con cui, con sobrietà francescana, De Vita ha voluto celebrare a Palazzo Marino quell’anniversario, “ma continuerò a insegnare il mestiere di attore. Oggi siamo circondati da commedianti, cioè da persone che vivono di fiction; gli attori sono coloro che portano la responsabilità dei loro gesti e delle loro azioni”. Una posizione che induce anche un ricambio generazionale, che già si va realizzando al Teatro Officina.
Ormai da tempo, purtroppo, la figura del Maestro è in crisi. Grandi personaggi che hanno fatto la storia del teatro (penso a Orazio Costa Giovangigli, a Giorgio Strehler) non sono riusciti a passare il testimone a discepoli che ne assumessero e sviluppassero il metodo, le scelte etiche ed artistiche. Nella loro umiltà, le dichiarazioni di Massimo De Vita potrebbero sollecitare il rinascere di un’attenzione a quel valore.

Lumpatius Vagabundus