Il senso dell’arte

accademia-di-romania-roma-Per la seconda giornata di teatRomania, vanno in scena due testi accomunati dalla capacità di offrire una riflessione sulla condizione storica del femminile: Printre taceri (Tra i silenzi) e Burrnesha.

Printre taceri (Tra i silenzi) di Isabella Draghici, autrice e interprete plurititolata in termini accademici e artistici (BA in Arte e recitazione, Master of Arts in studi religiosi e un Dottorato in Filosofia), inaugura questa giornata che potremmo definire sulla condizione antropologica e sociale della donna occidentale.

Printre taceri (Tra i silenzi) è uno spettacolo ambizioso per come intende raccontare il romanzo di formazione dell’individuo all’interno di una qualsiasi comunità industrializzata del XXI secolo. Composto da quadri in progress, alcuni interessanti per i richiami pirandelliani (la maschera chiesta dalle relazioni sociali e lavorative), altre divertenti e coinvolgenti (il rituale del matrimonio messo in scena con il malcapitato spettatore di turno), altri drammatici (la «crisi identitaria» e i rituali di sangue), Printre taceri (Tra i silenzi) si presenta, tuttavia, complessivamente incerto e non tanto per la frammetarietà imposta da una location certamente suggestiva, ma poco funzionale, come ammesso dalla stessa artista, per la messa in scena de «il cammino iniziatico di un individuo umano nella propria vita».

Lontana sia da una coreografia tradizionale che dal teatro danza, più vicina alla semplicità e al gesticolare vivace ed eccessivo della pantomima, la rappresentazione si svolge, infatti, all’interno della piscina dell’Accademia di Romania. All’aperto e, pertanto, priva di quelle condizioni di luci, ombre e colori che avrebbero permesso una resa ambientale adeguata alle intenzioni drammaturgiche di rendere la complessità di una condizione esistenziale comune, risultata eccessivamente ancorata a una restituzione didascalica e immediata – prevedibile nella sua iperlinearità – dello sviluppo che ha portato la protagonista dall’essere venuta al mondo alla trasfigurazione nella morte. Una scelta di drammaturgia che, nonostante l’assenza di parola, ha dato a Printre taceri (Tra i silenzi) un vago senso di prolissità, il quale, in ogni caso, non ha impedito di raggiungere un risultato non indifferente e, probabilmente, decisivo per il rilancio di questo progetto, oggi più intellettualistico che artistico. Ovvero, la costruzione visiva di una contrapposizione tra l’individualità incarnata con pathos dalla Draghici e l’oppressione esercitata da un invisibile piano strutturale sentito come coercitivo, fonte di disagio e sofferenza per come impone sul concreto la propria fatalità.

Segue Burrnesha di Valbona Xibri, una sorta di documentario teatrale interpretato da Maria Stefanache, su «un gruppo di donne albanesi che, in pieno ‘900, decidono di abdicare dal loro sesso e, facendo voto di castità, accettano di vivere come uomini per poter godere di diritti che, in questa parte dell’Europa, competono ancora oggi al cosiddetto sesso forte».

Edificato attraverso un vero e proprio lavoro sul campo, lo spettacolo trasforma l’emicilio in quello che è un contesto ancora esistente del nord dell’Albania e dove la differenza di sesso si struttura rigidamente sulla limitata contrapposizione uomo-donna e il naturale primato del primo sulla seconda viene assicurato da una tradizione culturale basata sul canone del XV secolo, il Kanun del partigiano Lek Dukagjini. Un testo, ormai ufficialmente in disuso, nel quale sono contenute perentorie affermazioni sulla sottomissione economica, sociale e culturale delle donne, e sulla legittimazione della violenza maschile come strumento di controllo e rispetto della stessa tradizione.

La performance vede «sequenze del corpo intervallate da azioni, suoni e canti dal vivo» che la dolce Stefanache esegue sicura, accompagnata da proiezioni (con la stessa protagonista) di ipotetiche dinamiche di vita quotidiana di una Burrnesha, di donne che «portano abiti maschili, scelgono un nome da maschio», costrette a «fumare, bere alcolici, fare lavori da uomo, cantare, suonare e sedersi a conversare con gli uomini» per «tenere un’arma, ereditare». Un ruolo imposto in maniera quasi archetipica, dunque indotto in maniera collettiva e inconscia, che risulta glaciale per come viene accolto quasi come una possibilità da donne, su cui il giudizio morale deve fare giustamente un passo indietro, senza però esimerci dal darne uno etico su modelli di funzionamento antropologico e sociale, in verità, non troppo lontani geograficamente e culturalmente rispetto a un paese dove il delitto d’onore è rimasto legge dello Stato fino al 1981.

Un’opera che, allora, ben rappresenta il senso profondo di incontro e riflessione interculturale di un festival che, ricordiamo, prosegue questa sera con due produzioni romene con sopratitoli in italiano: Ultimul lepros (L’ultimo lebbroso) di Radu Botar, tratto da Vlad Zografi, e Abator (Mattatoio) di Marco Di Stefano.

Lo spettacolo è andato in scena all’interno di TEATROMANIA emersioni_sceniche
Accademia di Romania, Villa Borghese, Roma
V edizione, 26-28 giugno 2015
organizzato da Telluris Associati, Accademia di Romania e FIRI
con il sostegno dell’Istituto Culturale Romeno di Bucarest
con il Patrocinio della Regione Lazio e del Comune di Roma, Assessorato Cultura e Turismo
direzione artistica: Letteria Giuffrè Pagano
sponsor tecnico: After srl Roma
media partners: Actualitatea Magazin, Art A Part of Culture, Gazeta Romaneasca, Orizzonti culturali italo-romeni, Persinsala, Più culture, Radio Romania, Romit tv

sabato 27 giugno, ore 20.00
Sala esposizioni
Printre taceri (Tra i silenzi)
performance di e con Isabella Draghici
di Isabella Draghici
con Isabella Draghici
Produzione indipendente

ore 21.30
Burrnesha
regia di Valbona Xibri
con Maria Stefanache
video Giuseppe Baresi
foto Paola Favoino
testo Sara Giacomelli
Centro Produzioni Teatrali, Milano
in lingua italiana

ore 22.45
Emersioni critiche, incontro con gli artisti