Al capezzale di un dittatore

Branciaroli al Teatro Manzoni di Monza manca il bersaglio: le ultime ore di Stalin tra colossal, opera lirica, tragedia greca e Brecht. Al rallentatore.

Sarà stato il caldo soffocante, e le conseguenti inevitabili sventagliate insofferenti con i programmi di sala.

Sarà stata l’acustica faticosa, aggravata dal rimbombare dei fuochi d’artificio nella notte di Monza per una buona mezz’ora almeno.
Saranno state le luci troppo basse e soffuse (bella l’atmosfera ricreata, ma così buia da rendere indecifrabili le espressioni del viso degli attori fin dalla prima metà della platea), o forse chissà cos’altro; ma, purtroppo, l’ultima fatica del Teatro degli Incamminati è una di quelle ciambelle uscite senza buco.
Sicuramente la scelta del testo – dramma teatrale scritto da Eugenio Corti nel 1962 – non aiuta, e non tanto per i contenuti scomodi e difficili, né per la bella struttura, costruita ad alternanza tra episodi e cori proprio come nella tragedia greca, ma piuttosto per lo stile stesso della scrittura. «Parole» le definisce il regista Andrea Maria Carabelli «che una dietro l’altra si susseguono apparentemente fredde come un discorso a tesi, in realtà incandescenti come il cuore dell’uomo – di un uomo, che viene innalzato suo malgrado ad emblema tragico del Novecento». Ecco: forse ci si è fermati all’ingannevole apparenza, ma l’incandescenza nascosta emerge solo a tratti, mentre per la maggior parte del tempo i dialoghi sono un susseguirsi di teorie politiche e sociali in una staticità che, per quanto veritiera e realistica, forma una patina di noia di cui ci si libera solo durante gli intermezzi dei cori, vitali, dissacranti e simbolici, così contrastanti con lo stile degli episodi da creare un interesante effetto straniante. Encomiabile l’idea di usare i giovanissimi come coreuti (un bel modo per avvicinare realmente i ragazzi al mondo del lavoro teatrale), anche se così facendo la qualità dello spettacolo si abbassa, fino a toccare in certi quadri un livello quasi dilettantesco. Belle le canzoni, belle le coreografie, belle le scene, una per tutte quella dei tavoli imbanditi ai quali mangiano le donne del popolo russo, tavoli che velocemente si trasformano nei banchi d’accusa del processo a Stalin, e poi, ancora, nel suo letto di morte. Bello l’utilizzo di un’estetica quasi costruttivista, perfettamente contestualizzata; meno bella la statua di Lenin di evidente polistirolo (tremendo il rapporto dell’oggetto con gli attori), bruttini vestiti di Olga, incomprensibile l’incoerenza generale dei costumi – perché gli uomini sono costretti in pesanti cappotti persino nelle scene d’interni, mentre le donne, anche in strada, sono in leggere camicie bianche?

I primi istanti, nonostante tutto, sono emozionanti, come nell’attesa che qualcosa avvenga; attesa tradita, perchè i minuti passano, le scene si susseguono, ma non succede niente che non sia già in qualche modo preannunciato, scontato. Non riesce a risollevare le sorti neanche Franco Branciaroli nel ruolo del protagonista, che nonostante l’indiscutibile bravura e la recitazione impeccabile si uniforma alla generale mancanza di profondità. Tra terribili spari finti, momenti di eccessiva enfasi e altri decisamente lunghi e statici, intuizioni riuscite, come la sublime morte di Stalin, e altre meno (l’uso del microfono nel processo), lo spettacolo finisce, e i pesanti cancelli di metallo aperti sulla prima scena si richiudono sulla fine di un’epoca.

Peccato, perchè se, citando il programma di sala, «i conti con il marxismo e il sovietismo non si sono mai fatti nella loro sede deputata, che è quella della coscienza di una società, e il senso comune continua a non percepire l’orrore anche “ideale” degli stermini avvenuti durante l’epoca staliniana», questa è stata un’altra occasione persa.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Manzoni

via Manzoni, 23 – Monza

Processo e morte di Stalin
di Eugenio Corti
regia Andrea Maria Carabelli
con Franco Branciaroli
e con Cinzia Spanò, Andrea Soffiantini, Federico Vanni, Marino Zerbin, Claudio Lobbia, Paolo Cosenza, Pier Senarica, Andrea Maria Carabelli, Matteo Bonanni
coro donne: Adriana Bagnoli, Dina Perekhodko, Elisa Fumagalli, Eleonora Branca, Sara Borgonovo, Sara Caspani, Sara Colombo, Letizia Donati, Martina Ferlin, Francesca Gatti, Mariachiara Giorgioni, Martina Maffezzini, Marta Nava, Lisa Sanbruni, Lucia Vigutto
coro uomini: Teodoro Bonci del Bene, Amanuele Manfrè, Andrea Bancora, Filippo Beretta, Jacopo Borrelli, Andrea Dirocco, Mattia Gennari, Francesco Mandelli, Alessandro Vaghi, Diego Valle
musiche Alessandro Nidi
coreografie Teodoro Bonci del Bene
scene Roberto Abbiati
costumi Patrizia Caggiati
assistente alla regia Letizia Mirabile
datore luci Matteo Rubagotti
assistente alla scenografia Rocco Schira
produzione Teatro degli Incamminati
in collaborazione con Fondazione Il Cavallo Rosso, Fondazione Costruiamo il Futuro, Liceo Don Gnocchi