Affinità elettive

Il Classicismo impera alla Sala Verdi del Conservatorio per una serata all’insegna dello “stile galante”.

Lunedì 12 dicembre il ricco cartellone delle Serate Musicali ha offerto al pubblico una formazione cameristica unica nel suo genere: il quartetto d’archi. Un ensemble decisamente difficile da creare, gestire e mantenere, dagli equilibri a volte precari e dal repertorio – seppur meraviglioso e vario – oltremodo complesso. Protagonista della serata, il Quartetto di Tokyo – gruppo storico dall’attività trentennale che tiene concerti in tutto il mondo e che si dedica con costanza alla didattica, soprattutto negli Stati Uniti, suo Paese d’adozione.
Appena i quattro musicisti entrano in sala, salta subito all’occhio una scelta non molto consueta: si è preferita la viola esterna anziché il violoncello. Il motivo è intuibile già nel corso del primo brano in programma – il Quartetto in fa maggiore op. 74 n. 2 Hob. III:73 di Haydn. Suonando su strumenti d’epoca è infatti risaputo che se si utilizzano solo degli Stradivari capita che il suono risulti un po’ chiuso, non troppo squillante: questo è il caso della viola di Isomura, sempre piuttosto ovattata e che emerge con difficoltà. Inoltre, non si può far a meno di notare che Greensmith – il violoncellista – ha di natura un fraseggio ricco e una verve che lo caratterizzano come vero motore propulsore del gruppo: esporlo in esterno probabilmente significherebbe coprire troppo gli altri, facendo venire meno qualsiasi equilibrio sonoro, che al contrario risulta sempre buono. In particolare, è notevole la perfetta simbiosi tra il primo e il secondo violino – rispettivamente Martin Beaver e Kikuei Ikeda. Lo scambio dei suoni e dei temi è di una precisione assoluta, come se si trattasse di un unico strumento impegnato in due voci.
L’esecuzione dell’op. 74 n. 2 risulta vincente, spumeggiante e perfettamente in stile. Il magnetismo nel loro suono d’insieme non fatica a conquistare il pubblico: la freschezza del Menuett è quella di un tiepido venticello primaverile. Il tutto risulta gradevole e si sente lo spessore dell’esperienza.
Anche il Quartetto in sol minore op. 74 n. 3 Hob. III:74 – detto Reiterquartett – si presenta cristallino in ogni suo movimento, specialmente nel ritmico Finale. Allegro con brio: in queste esecuzioni emerge la linearità della forma e la giusta contrapposizione tra la melodia – talvolta con punte di virtuosismo – del primo violino e gli accompagnamenti piuttosto tradizionali degli altri tre strumenti.
In chiusura si abbandona Haydn per una rilettura del Quartetto in fa maggiore KV 590. Composizione particolare, che impegna anche lo spettatore il quale – dopo la freschezza haydniana – scopre sonorità e forme meno gioiose e spensierate. Durante l’ascolto quasi si rimpiange la prima parte del concerto, complice soprattutto il fatto che il brano di Mozart non è tra i suoi capolavori, bensì un pezzo stranamente prolisso, in cui la posatezza e la cura del dettaglio non aiutano a far scorrere le note.
Tuttavia la serata si conclude con un largo sorriso, grazie al bis in cui si ritorna felicemente a Haydn con un Menuett che conferma le impressioni precedenti: il compositore di Rohrau calza perfettamente al Quartetto di Tokyo – come un guanto di velluto. Le idee sembrano aderire con precisione alle caratteristiche dello stile, in una sorta di affinità di cui raramente si è testimoni.

Lo spettacolo è andato in scena:
Conservatorio G. Verdi – Sala Verdi
via Conservatorio, 12 – Milano
lunedì 12 dicembre, ore 21.00

Il Quartetto di Tokyo presenta:
Haydn: Quartetto in fa maggiore op. 74 n. 2 Hob. III:73
Haydn: Quartetto in sol minore op. 74 n.3 Hob. III:74
Mozart: Quartetto in sol minore op. 74 n.3 Hob. III:74