Subire o ribellarsi?

Spam! conclude la sua Stagione autunnale di danza con uno spettacolo di e con Marco Chenevier, Questo lavoro sull’arancia.

Marco Chenevier è un autore in grado di creare spettacoli che coniugano danza, pantomima, recitazione, interazione con il pubblico a una interessante ricerca antropologica (in questo, simile ai percorsi esperienziali di Enrique Vargas, andati in scena in questi ultimi anni al Funaro di Pistoia).
In questo caso, Chenevier indaga la nostra capacità di accettazione della violenza e per due terzi dello spettacolo lo fa con molta autoironia, ritmo, e una serie di meccanismi che implicano sia la partecipazione (interessata o meno: in quanto si vincono anche soldi veri) del pubblico, sia esibizioni di danza o pantomima che pongono il pubblico stesso di fronte a scelte quali: guadagnare cinque o dieci euro interrompendo un momento di bellezza artistica, oppure godersi lo spettacolo? E ancora, manifestare il proprio dissenso verso una presunta scena di violenza lanciando un aeroplanino di carta, o godersi sadicamente lo schiaffo al danzatore o alla danzatrice? E così via.
Nel finale, però, accade qualcosa di più. Come in Cuore di tenebra (il progetto di Vargas, multisensoriale ed esperienziale, andato in scena al Funaro nel 2015), anche qui a un certo punto il gioco va oltre. Se a Pistoia gli spettatori erano chiamati a riempire e a portare secchi di terra fino a una macchina scenica che, nel suo interno, tratteneva un performer che veniva via via seppellito – trasformandosi da fiancheggiatori in carnefici – qui Chenevier versa secchi di latte ghiacciato su Alessia Pinto, imbavagliata e legata, mentre alcuni spettatori, per guadagnare i soldi della riffa, spremono succo d’arancia negli occhi della performer. Per fermare questo “gioco”, l’unica soluzione è centrare il palcoscenico con un certo numero di aeroplanini (ma molti sono stati utilizzati nelle precedenti prove), o colpire Chenevier con un buon numero di arance.
La cosa sconcertante, a un certo punto, è stato vedere gli spettatori dividersi in tre gruppi. Il primo, impotente o perplesso, ma comunque inattivo, è rimasto seduto al suo posto, magari ha tirato almeno l’aeroplanino – o magari no; il secondo, il più esiguo, è andato a spremere succo d’arancia negli occhi della performer per aggiudicarsi il premio in denaro; il terzo è sceso in campo tirando l’arancia ma, di fronte all’impossibilità di colpire Chenevier almeno undici volte, si è ritrovato come inebetito e incapace di fermare una performance che, per quanto intesa a sollevare dubbi e perplessità – e forse proprio in quanto performance – non ha provocato moti di rivolta che andassero aldilà di quanto richiesto dal “gioco”.
Ma era un gioco? To play in inglese ha il duplice significato di recitare e giocare. Eppure c’è da chiedersi dove finisca il gioco o la performance e dove inizi la sopraffazione. Si accetta tutto perché siamo talmente abituati alla violenza mediatica da considerarla ormai normale, o perché pensiamo che la verità sia sempre fasulla come quella spacciata dal Grande Fratello? Oppure pensiamo che se uno, per lavoro, accetta di prestarsi a un’operazione simile, non dobbiamo preoccuparcene (così come non ci preoccupiamo dei minatori del distretto di Sukinda o dei conciatori del Bangladesh – giusto per fare due esempi a caso)? E soprattutto, fino a che punto – quando siamo investiti del ruolo di spettatori – siamo liberi di agire, interrompendo anche il gioco, e quindi lo spettacolo (o cosiddetto tale)?
Non mi piace scrivere di me stessa in una recensione ma, visto che siamo stati tutti chiamati in causa direttamente dal lavoro di Chenevier, prima ancora che come critico, in quanto individuo mi chiedo perché – al termine dello spettacolo – un attore e amico, di fronte al mio tentativo di interrompere la cosiddetta rappresentazione gettando contro Chenevier tutte le arance disponibili, mentre due spettatrici portavano letteralmente via i secchi e il latte rimanente, abbia commentato: «Apprezzabile il tentativo di ribellione, ma ovviamente fallimentare».
Fallimentare perché non siamo ancora ridotti alle brioche?

Lo spettacolo è andato in scena nell’ambito di Good Art is Healthy:
SPAM!
via Don Minzoni, 34
Porcari (LU)
mercoledì 13 dicembre, ore 21.00

Questo lavoro sull’arancia
di Marco Chenevier
con Marco Chenevier e Alessia Pinto
scene e disegno luci Andrea Sangiorgi
mentoring Roberta Nicolai e Roberto Castello
produzione TiDA Théâtre Danse
con il sostegno di TWAIN Residenza di spettacolo dal vivo della Regione Lazio
sostegno in residenza ALDES
creazione selezionata nell’ambito del progetto Permutazioni di Zerogrammi e Lavanderia a Vapore 3.0 / Piemonte dal Vivo
e con il sostegno di MiBACT / Regione Autonoma Valle d’Aosta
Foto di S. Mazzotta