Un mondo di folli istrionici

Michele Placido porta al Teatro Quirino una versione del Re Lear che lascia non poche perplessità, pur dimostrando un amore sincero per il teatro e il pubblico

Il Re Lear, l’opera immortale di William Shakespeare, possiede un livello di significato, profondità e complessità tale che ognuno, in ogni posto del pianeta, in ogni momento della storia, leggendolo o assistendo ad esso, può rintracciarne prospettive peculiari al proprio tessuto esistenziale e alla propria vita individuale. Nel dramma si sovrappongono con lucidità, ma anche con crudeltà, temi quali il rapporto tra sentimento e parola, tra legge e natura, ma è anche la cornice della lancinante condizione umana, che oscilla eternamente tra il nulla e la follia. Questo l’elogio, neanche necessario, dell’opera shakesperiana, e d’altronde potremmo pensare che sia questa sua “immensità” a determinare che registi e interpreti ne offrano versioni non all’altezza. Questo è il caso del Re Lear attualmente in scena al Teatro Quirino fino al prossimo 28 ottobre, messo in scena e diretto da Michele Placido. Iniziamo a dire cosa vale la pena di salvare dello spettacolo: il Michelone nazionale dimostra ancora una volta di amare non solo il teatro, ma soprattutto il teatro per la gente, ovvero coglie una nuova opportunità di ampliare i confini della tradizione drammaturgica andando a coinvolgere un pubblico quanto più ampio. La scenografia è scarna ed essenziale, e ricorda la celebre e straordinaria versione di Strehler, anche se qui il minimalismo scenografico è compensato da musiche (spesso completamente fuori luogo, pensiamo alla canzone Alleluja cantata da Cordelia al padre impazzito), luci intense, ed effetti di vario genere; a questo punto, però, già ci troviamo all’interno della pars destruens di questo articolo, perché quell’amore per il teatro popolare di cui parlavo sopra si traduce per Placido in una rassegna di elementi e concessioni che fanno leva sull’immaginario popolare nel peggiore dei sensi, ovvero sull’immaginario televisivo; per capirci, se stimabile è la decisione di mantenere il testo originale integro senza traduzioni e aggiornamenti, pessimi sono le libertà espressive e gli eccessi che propone lo spettacolo. Goneril (Margherita di Rauso) e Regan (Linda Gennai) vestite in pelle sadomaso, la prima che pratica una fellatio a Edmund (un ottimo Giulio Forges Davanzati), mentre la seconda a seno nudo che con lo stesso recita una scena di sesso assolutamente superflua e fine a se stessa. Ma d’altronde Placido sa che il teatro deve piacere alla gente, e alla gente piace il sesso, e perciò perché non far vedere il pene di Edgar (un convincente Francesco Bonomo) quando precipita nella follia che lo trasforma nel “povero Tom”? Ma alla gente piacciono anche le scene di violenza estrema e perversa, e perciò ben venga lo splatter (dal folle Tom che si incide dei tagli sul corpo, al conte di Gloucester al quale vengono cavati gli occhi in un trionfo di paccottiglia grandguignolesca); e poi alla gente piace tanto ridere, e indubbiamente il Re Lear contiene al suo interno diversi momenti grotteschi che tendono al comico, o meglio sarebbe dire all’umoristico nel senso pirandelliano, una comicità sempre intrisa di dolore e malinconia. In questo spettacolo, si cede troppo spesso alla volontà di smorzare il testo per ricondurlo a piani meno elevati, alcuni scambi per tono e interpretazioni accennano a una sorta di attualizzazione (e perciò alcuni personaggi in alcuni casi si muovono e parlano spontaneamente per risultare più realisti); in tutto questo, uno dei momenti più agghiaccianti dello spettacolo è il fool del Re Lear, interpretato da un ragazzino vestito da rapper coi calzoncini corti, che a un certo punto si rivolge al re proponendoci un pezzo hip-hop. Medesime perplessità sorgono dinanzi ai costumi, che sono completamente incoerenti, spesso sembrerebbe casuali, senza contestualizzazione e significati specifici, tendendo non di rado all’ilarità involontaria.
Le buone recitazioni (compresa quella dello stesso Placido, che riesce a personificare ottimamente un re stravolto dal dolore e abbandonato alla senilità, mentre poco convincente risulta la sua neo-moglie Federica Vincenti nei panni della giovane Cordelia) non bastano a redimere uno spettacolo tutto sommato sotto alla sufficienza, che d’altronde parte bene e che poi si perde nel corso del suo sviluppo, forse per eccesso di istrionismo.

Lo spettacolo continua:
Teatro Quirino
Via delle Vergini, 7 – Roma
fino a domenica 28 ottobre, ore 20.45
orari: giovedì 18, mercoledì 24 e sabato 27 ottobre, ore 16.45
tutte le domeniche ore 16.45

Ghione produzioni presenta
Re Lear
di William Shakespeare
regia Michele Placido, Francesco Manetti
con Gigi Angelillo, Margherita Di Rauso, Federica Vincenti, Francesco Bonomo, Francesco Piscione, Linda Gennari, Giulio Forges Davanzati, Brenno Placido, Alessandro Parise, Peppe Bisogno, Giorgio Regali, Gerardo D’Angelo, Riccardo Morgante
scene Carmelo Giammello
musiche originali Luca D’Alberto
costumi Daniele Gelsi
aiuto costumista Roberto Conforti
disegno luci Giuseppe Filipponio
aiuto regia Andrea Ricciardi