Tra neologismi e accademia la danza stona

A Fabbrica Europa l’eccesso di barocchismo e la proliferazione dei linguaggi non aiutano l’arte coreutica a trovare nuovi sentieri percorribili.

Firenze, 8 maggio. Il primo spettacolo della serata, Re-Mark – del coreografo Sang Jijia – è molto atteso visto il successo di Pa|Ethos (che debuttò al Teatro Era di Pontedera, in apertura di questo stesso Festival, nell’edizione del 2015).
Purtroppo, la pulizia e l’asciuttezza del segno che avevano contraddistinto il precedente lavoro, sono qui sostituite da una sovrapposizione di strumenti e linguaggi che non riescono, a nostro parere, a comunicare un messaggio – se non univoco, almeno chiaro.
Forse come critici dovremmo arrampicarci sui muri (come fanno gli stessi danzatori) per rintracciare la poetica che sottostà alle scelte di Jijia, divagando su simulacro e iperrealtà, oppure sull’immagine-tempo à la Deleuze (così da far capire al lettore quanto siamo colti). Ma siccome non siamo quel genere di critici, né pensiamo che la nostra funzione sia quella di mostrare noi stessi, diremo che l’uso del parlato; le riprese dei due cameramen (uno con telecamera a spalla, invadente tanto quanto le colonne, che impediscono a tratti la visione diretta della performance), che dovrebbero facilitare la trasposizione azione/ricordo dell’azione; il video con la riproposizione di quanto va in scena ma con effetti di rallenty, accelerazioni, sfasamenti temporali; la dimensione della fruizione in piedi; oltre alla scelta di una gestualità e di prove anche di resistenza fisica più vicine alle acrobazie circensi che alla danza; ebbene, tutta questa miriade di linguaggi e strumenti, adoperati da Jijia, non hanno evocato in noi l’intenzione che enunciava nelle sue note: “Ogni giorno nella nostra vita lasciamo dietro di noi, inavvertitamente, molti segni… Alcuni segni potrebbero portarci a trovare noi stessi o suggerire agli altri di venire a cercarci”. Ci hanno bensì suggerito una semplice metafora, alquanto esplicativa. Immaginate un autore che, incapace o non interessato per ragioni poetiche a usare oltre le parole della propria lingua, decida di scrivere un libro infarcendolo di neologismi e barocchismi strutturali. Il risultato sarebbe che il lettore non ci capirebbe nulla. Allo stesso modo, il messaggio, anche nella danza, diventa sempre più sfuggente.
A seguire, con un’abbondante ora di ritardo (funestata anche da un temporale quasi estivo che ha costretto la folla presente a stringersi nello spazio angusto dei portici della Leopolda, per un tempo interminabile), debutta il Balletto di Roma con Arcaico.
Danzatori e danzatrici statuari e tecnicamente preparati; una polistrumentista, Katia Pesti, à la John Cage; e il carisma e il talento del compositore, oltre che cantante, Gabin Dabiré (e qui apriamo un inciso dato che Dabiré nasce in Burkina Faso e a questo Paese e al suo leggendario Presidente, Thomas Sankara, ucciso dal suo ex compagno di lotte, Blaise Compaore, con la complicità di Francia e Stati Uniti, il Teatro Parenti dedica lo spettacolo Verso Sankara. Alla scoperta della mia Africa – dall’8 al 20 maggio a Milano).
Tornando allo spettacolo, diremmo che gli ingredienti alchemici per creare qualcosa di magico ci sarebbero tutti ma, sfortunatamente, gli elementi non si fondono. L’arcaico (del titolo) che vibra nel semplice passo, appena abbozzato, di Dabiré, diventa di maniera quando interpretato dalle coreografie: i gesti non nascono dal respiro – simile all’uso di quel diaframma alla base della voce attorale – ma dalla posizione, dal passo, dalla presa imposti dal maître de ballet. I rimandi iconografici alle pose degli eroi sui vasi greci o alla divinità egizia Ra e al suo disco solare, sebbene esteticamente belli a sé stanti, non si fondono con le musiche contemporanee e sperimentali di Pesti, né con la voce di Dabiré. Sebbene questa frizione possa spiegarsi come una denuncia delle forti lacerazioni che attraversano l’attuale società – in vista di un’utopica città ideale dove si ricongiungano, o almeno dialoghino, le differenze (in questo senso molto bella la scena finale con l’intero corpo dei danzatori riuniti intorno al tamburo/sole) – il patinato accademismo, esteticamente ineccepibile, è lontanissimo dalla nostra matrice arcaica, dall’estasi dionisiaca della menade, dalla danza tribale di valenza sciamanica. Il titolo invita a una riscoperta della comune radice antropologica e a un dialogo interculturale. Il risultato appare antitetico: gli opposti non si incontrano. Il passo e il gesto di Dabiré resta l’unico momento di autentica messa in ascolto di un corpo verso l’universo insondabile che ci circonda – e che l’uomo, da sempre, paventa e sublima nell’arte e nel fuoco.
La danza troppo rarefatta, ricercata, in punta di forchetta non può sondare, secondo noi, le profondità ataviche del nostro inconscio collettivo.

Gli spettacoli sono andati in scena nell’ambito di Fabbrica Europa 2018:
Stazione Leopolda Firenze

martedì 8 maggio, ore 19.00

Re-Mark
coreografia Sang Jijia
regia video Tommaso Arosio
musica live Spartaco Cortesi
interpreti Carolina Amoretti, Giovanfrancesco Giannini, Isabella Giustina, Claudia Mezzolla, Fabio Novembrini, Pietro Pireddu, Violeta Wulff Mena e Valentina Zappa
disegno luci Andrea Narese
costumi Rebecca Ihle
operatori video Alessandro Di Fraia, Enrico Re e Giampaolo Marrocu
supporto tecnico Alfea Cinematografica
registrazioni Umi Carroy Niane (pianoforte) e Alice Chiari (violoncello)
produzione Fondazione Fabbrica Europa
in coproduzione con City Contemporary Dance Company/Hong Kong*,
The Dance Industry/Spellbound Contemporary Ballet, Versiliadanza
*City Contemporary Dance Company è supportata finanziariamente dal Government of the Hong Kong Special Administrative Region, People’s Republic of China
(prima assoluta)

ore 21.00 (effettivamente ore 22.00)
Davide Bombana / Balletto di Roma presentano:
Arcaico
Azioni coreografiche per cinque danzatori, pianoforte, percussioni e canto
coreografia Davide Bombana
interpretazione Roberta De Simone, Monika Lepisto, Eleonora Pifferi, Simone Zannini e Paolo Barbonaglia
musiche originali (composte ed eseguite dal vivo) Katia Pesti (pianoforte, reyong, gong, angklung, bendir, tamburo, campane tibetane, piastra sonora, contrabasso, hapy drum)
voce Gabin Dabiré (talking drum, kalimba, sonagli africani)
lighting design Emanuele De Maria
produzione Balletto di Roma
coproduzione Fabbrica Europa