Il trono precario

Matteo Carniti si cimenta nella regia del più lungo testo shakespeariano: il palco del Globe Theatre di Roma si tinge di rosso per narrare le vicende di Riccardo III.

Per il Riccardo III di Matteo Carniti è difficile trovare una collocazione ben definita: non si tratta di uno spettacolo di matrice prettamente tradizionale, ma non è neanche una rilettura del tutto “rivoluzionaria”.
Così come i personaggi del dramma, questo adattamento si trova in bilico tra ciò che vorrebbe essere e ciò che effettivamente è: un tentativo incompleto di “ammodernamento”. In una location tradizionalista come è il Silvano Toti Globe Theatre, quel che ci si aspetta è forse una ricostruzione quanto più possibile filologica di quello che era il teatro elisabettiano e, nello specifico, shakespeariano – altrimenti non ci sarebbe motivo di rappresentare proprio qui le opere del Bardo – ovvero scevra di artifizi che all’epoca non erano possibili.
L’impianto scenografico è, in effetti, essenziale: una sorta di ponte (levatoio?) rosso laccato divide in due il palcoscenico e, quasi come fosse una sorta di passerella, ospita le entrate e le uscite dei personaggi che avvengono attraverso una porta verticale scorrevole. L’azione, però, risulta piuttosto statica: gli attori entrano ed escono quasi sempre dalla medesima porta. Punto di interesse è dato altresì dal fatto che questo ponte/passerella – tinto del rosso sangue che sporca le mani di Riccardo a causa della catena di morti che egli stesso mette in atto – eccede le dimensioni del palco, proiettando gli attori sul vuoto, quasi fosse un trampolino che li tiene sospesi tra la vita e la morte, tra ciò che vorrebbero essere e ciò che sono, tra le apparenze e il privato mondo interiore.
Le scelte registiche non sempre forniscono una chiave di lettura chiara che, se da una parte permette comunque di soffermarsi più a lungo sulle probabili motivazioni, dall’altra lascia nello spettatore dei vuoti che si trasformano in perplessità. Durante i passaggi da una scena all’altra, entrano uomini in abito da schermidori che si affrettano a pulire quel che è rimasto sul palco, sempre accompagnati da sottofondi musicali – decisamente moderni – mirati a enfatizzare il senso di oppressione causato dagli intrighi e dagli orrori che ordisce il gobbo Riccardo. Ma la loro funzione qual è? Forse che metaforicamente questo pulire quasi ossessivo voglia indicare l’indifferenza finale degli altri personaggi, i quali, in fin dei conti, sono taciti osservatori delle azioni del nostro sovrano? O, attraverso una lettura un po’ forzata, si vuole contrapporre la disciplina tipica di un’arte quale la scherma, alla totale assenza nella vita di Riccardo di regole e valori?
Altro punto interrogativo è la funzione del ponte/passerella. In un preciso momento dell’azione, vengono agganciate alla struttura delle corde che fanno presupporre un cambio di scena o comunque qualcosa che stupisca e spiazzi lo spettatore. Invece non accade nulla: al termine della rappresentazione le corde vengono semplicemente sganciate, lasciando un po’ di delusione negli occhi di uno spettatore quantomeno attento. La scenografia e tutto ciò che la riguarda sono anche essi elementi drammaturgici, oggetti narranti che possono diventare allusione a significati altri: in questo caso si è forse persa quella che poteva essere una grande possibilità.
Per quel che riguarda l’interpretazione degli attori, Maurizio Donadoni ha restituito un Riccardo III con diverse sfumature, dall’uomo deciso che ha programmato tutto fin nel minimo dettaglio, all’uomo che in rari momenti si fa cogliere da dubbi e debolezze. Tra tutti ha però spiccato Melania Giglio nella parte di Margherita D’Anjou che, nell’invettiva contro i suoi nemici, tocca tutte le corde del dramma umano: dalla rabbia, all’odio, alla disperazione. Vagamente sottotono, invece la recitazione degli altri interpreti che, forse per scelte registiche o forse no, tendono ad appiattire le personalità che in genere contraddistinguono tutti i personaggi di Shakespeare.
Sia per la quantità di battute presenti che per gli argomenti trattati, il Riccardo III di Shakespeare non è un testo semplice né da mettere in scena né da interpretare. La rappresentazione di Carniti, in questo senso, ponendo ai nostri occhi una serie di interrogativi, apre le porte a nuove potenziali letture.

Lo spettacolo è andato in scena:
Silvano Toti Globe Theatre
Largo Aqua Felix – Roma
fino a domenica 8 settembre, ore 21.15

Politeama srl presenta
Riccardo III
di William Shakespeare
regia Marco Carniti
con (in ordine alfabetico) Federica Bern, Marco Bonadei, Tommaso Cardarelli, Patrizio Cigliano, Benedetta Cigliano, Massimo Cimaglia, Pia Lanciotti, Nicola D’Eramo, Pasquale Di Filippo, Maurizio Donadoni, Gianluigi Fogacci, Melania Giglio, Gabriele Granito, Raffaele Latagliata, Sebastian Morosini, Paila Pavese, Emanuele Salce, Alessio Sardelli
traduzione e adattamento Marco Carniti
scene Fabiana Di Marco
costumi Maria Filippi
disegno luci Umile Vainieri
progetto fonico Franco Patimo
musiche Davide Barittoni
aiuto regia Adamo Lorenzetti