Il dolore contemporaneo

Tra i finalisti al Premio Ubu 2014, l’attore, autore e regista Michele Sinisi consegna al pubblico un lavoro accurato e viscerale: Riccardo III, in scena fino al 23 novembre al Teatro dell’Orologio, non è mai stato così tanto contemporaneo.

Della messa in scena del Riccardo III di Michele Sinisi, tre sono gli elementi che lasciano un segno, aleggiando nello spazio scenico della Sala Gassman: la parola, il corpo, l’universalità del testo shakespeariano.

Il primo è «Now». Inizia così questo Riccardo III, nel rispetto della parola iniziale del monologo di apertura della più atroce e sanguinaria delle tragedie shakespeariane. E nel ritmo della ripetizione di essa, che connota uno spazio immediatamente discontinuo rispetto al testo originario, Sinisi concede al pubblico molteplici aperture a immagini e significati del tutto contemporanei.
Il «Now» del testo di Sinisi, nato dalla collaborazione con Francesco Asselta, è «questo momento»: quello che, in definitiva, conta più di tutti gli altri perché è nel tempo presente che nasce e trova vita l’azione vera.

Proprio sul presente, ovvero sull’identità hic et nunc, si gioca gran parte della costruzione drammaturgica.

La forma con cui Sinisi restituisce un impianto culturale ed esistenziale di altissimo livello è straordinaria per limpidezza concettuale e messa in atto.

L’apparente disorganizzazione scenica e l’anarchica aggressività con cui Sinisi la gestisce sono meravigliose testimonianze di una poetica eretica e polemica, che si abbatte contro quell’assurdo modello di pensiero secondo il quale sarebbe giusto, anzi doveroso, continuare a sacrificare l’autenticità dell’individuo in nome di un interesse collettivo destinato, però, sempre ai posteri.

Un paradigma che Sinisi mette in crisi, attraverso la costruzione fisica di un Riccardo III, l’incontestabile male assoluto, capace di suscitare allo stesso tempo terrore (per il personaggio) e compassione (per l’interprete).

Il risultato è clamoroso, (di)mostrando come mistificatoria ogni distinzione morale di carattere manicheo e come consapevole la colpevole confusione tra realizzazione del sé e l’obbligo di un riconoscimento socio-culturale. Una contraddizione in termini su cui, esemplarmente, si basano alcuni tra i comportamenti considerati più progressisti, oggi sempre più alla moda (come il coming out), ma che, a una attenta analisi, si scoprono essere umilianti perché ipocritamente liberatori per come inculcano la credenza che una scelta sia valida e reale solo se eteronoma, ovvero approvata dalla comunità dominante.

Senza scomodare Freud e Michel Foucault, Sarte e Beatriz Preciado, Pirandello e Samuel Beckett, si intuisce l’intenzione di Sinisi di dar consistenza esperienziale a un contesto di violenza e disumanità strutturale alla vita che si affaccia al mondo.
Violento perché all’esserci viene impedito di relazionarsi spontaneamente e naturalmente con quel territorio esterno e intorno che, aldilà di ciò che si vorrebbe fosse «true, not false», pone sempre di fronte a improvvisazioni drammatiche e laceranti.
Disumano, perché la vita è di per sé aliena da ogni definizione aprioristica, e dire cosa è buono, cattivo, giusto o sbagliato, ovvero dire cosa renda l’umano tale piuttosto che una bestia (o un mostro come nel caso di Riccardo III), è qualcosa che reclude l’esistenza in uno stretto recinto dove le motivazioni concrete cessano di avere valore.

La dimensione esistenziale è potentissima, di fronte a essa quella metateatrale soccombe come un dettaglio marginale rispetto alla grandiosità onnicomprensiva di tutte le esperienze che si chiama vita.

Il personaggio Riccardo III è vittima di un orizzonte culturale che gli attribuisce preventivamente la mostruosità d’animo accanto a quella d’aspetto. La sofferenza dell’attore Sinisi è, invece, reale così come lo sono l’alcol respirato per circa un’ora, le percosse date alla struttura metallica, la gravosa posa sul piede piegato, i calci al pallone e gli improvvisi raptus di violenza su ciò che gli intralcia il cammino.

La parola moltiplicata ritmicamente diventa suono, e il testo può anche scomparire. Così, degli sproloqui di Riccardo il sanguinario, dei pensieri angoscianti e malvagi nati dalla bramosia di potere, non rimane che una parola ripetuta. L’invito ad abbandonare il testo è allettante, stimola la creatività sopita e la invita a giocare (to play, come traducono gli inglesi) con Riccardo. Tra le varie possibilità di gioco potrebbe risuonare anche un: «E ora, ladies and gentlemen, ecco di cosa è capace l’uomo che soffre».

Il secondo elemento è il corpo: una materia deforme che, sotto il peso del dolore per non essere stato amato, ha deciso di intraprendere la strada dell’odio nel tentativo di salvare se stesso dalla crudeltà del mondo.
Riccardo somatizza il dolore nella deformità del suo corpo, perfino quello che prova nell’essere escluso dai giochi d’amore con i quali gli York, vincitori della Guerra delle due Rose, allietano le serate ora che «ogni nube incombente sulla stirpe è in seno dell’oceano seppellita».
Materiali grezzi come un tavolo di ferro, un pennarello di vernice rossa, dell’alcol per lavarla via, uno straccio e un secchio per raccogliere quello che resta: pochi elementi compongono una scenografia volutamente scevra, che trasmette il freddo dell’isolamento umano, come quello che si deve provare all’interno di una cella carceraria, in un corridoio di ospedale o anche in tutto quel tempo della nostra vita in cui scegliamo o subiamo l’allontanamento sociale.

Il suono, in sala, è metallico. Il messaggio arriva diretto e crudo a ogni omicidio compiuto o mandato da Riccardo: il tentativo di curare le proprie ferite lavandole con il sangue di altri, genera sofferenza in chi le compie. La somatizzazione del dolore è bestiale e suscita compassione perfino nei confronti dell’omicida.
Le immagini che si susseguono nella scena richiamano alla mente i crimini attuali più atroci, tra cui quelli compiuti sulle donne: l’uomo, incapace di amare la sua donna, si accanisce su di lei come Riccardo con Lady Anna. E, ancora, immagini di atrocità inspiegabili compiute sui bambini: «Come si fa a uccidere un bambino?» è l’interrogativo senza risposta di fronte al quale Riccardo non si ferma. E non si fermano neanche i mandanti delle guerre fratricide dei nostri giorni.
Sinisi conferma la propria abilità nell’usare il suo corpo in azioni fisiche importanti: ogni movimento è portato avanti con il coraggio di chi crede fermamente nel messaggio contemporaneo che propone. La costruzione drammaturgica lascia l’esatto spazio ai momenti/istanti ironici e a quelli sarcastici, fondamentali e strumentali nel raggiungimento del climax. La regia è fluida e accurata nell’uso dello spazio ridotto scelto per la rappresentazione. Il linguaggio utilizzato è attuale e, senza dubbio, provocatorio nella ricerca di una dialettica sull’utilizzo di codici comunicativi contemporanei rispetto ai testi del teatro shakespeariano.
Quanto una rappresentazione, come questa di Michele Sinisi, sia in grado di far arrivare in maniera così diretta e vera il messaggio di Shakespeare, deve far riflettere sulle possibilità che il teatro contemporaneo ha di veicolare messaggi capaci di raggiungere in maniera pop un pubblico abituato a una quotidianità fatta di immagini violente.

Emblematica, a questo proposito e non solo, rimane la costruzione della donna-Lady Anna attraverso una tecnica di street art: immediatezza e libertà creativa nella rappresentazione del rapporto con Riccardo.
Una donna che non è reale, ma ha le sembianze di una icona dell’immaginario, dunque di un prodotto culturale, ulteriore testimonianza concreta di come la richiesta di assunzione di una identità – che la società contemporanea impone pervasiva nel pubblico e nel privato – sia un processo di negazione della vitalità.

E non è un caso che sia Riccardo, nel corso della pièce, ad assumere le sembianze dei disegni realizzati sul tavolo e non, viceversa, i disegni a essere fatti a sua immagine e somiglianza.
Così come non è un caso che l’allestimento si concluda con la scritta del nome sul braccio. Senza di esso, atto culturale per eccellenza, Riccardo non è nessuno e il suo monologo non può concludersi. Solo affermando la proprià soggettività attraverso un segno unico, inequivocabile e definitivo, può sperare – sappiamo invano – di porre un termine al patimento del proprio infinito vitalismo.

Il terzo infine, è l’universalità che, ancora una volta, bisogna riconoscere all’opera di Shakespeare. Che antropologicamente l’uomo sofferente sia spinto nel proprio intimo a compiere un allontanamento sociale è un comportamento che vale oggi come allora: che non sia vano cercare di spiegare crimini ingiustificabili eppure ancora prepotentemente presenti nella nostra epoca.
Da non perdere.

«L’Arte rinnova i popoli e ne rivela la vita, vano delle scene è il diletto ove non miri a preparar l’avvenire».
(Citazione Teatro Massimo di Palermo)

Lo spettacolo continua
Teatro del’Orologio – Sala Gassman
fino al 23 nov 2014
dal martedi al sabato ore 21.15 – domenica ore 17.45

Riccardo III
da William Shakespeare
di e con Michele Sinisi
scritto con Francesco Asselta
direzione tecnica Alessandro Grasso
suoni Claudio Kougla
assistenza alle scene Daniele Geniale
segreteria Lidia Bucci
collaborazione alla scrittura di Michele Santeramo
produzione Fondazione Pontedera Teatro e Teatro Minimo
produzione esecutiva Fondazione Pontedera Teatro