Miseria senza nobiltà

india-argentina-roma-80x80Torna al Teatro Argentina, la versione mignon del titanico (e discutibile) esperimento culturale di Antonio Calbi e Fabrizio Arcuri, Ritratto di una Capitale, «evento che, attraverso il teatro, osserva e indaga il tempo della città, raccontando ventiquattro ore, ventiquattro luoghi, ventiquattro storie di una giornata qualsiasi della Roma di oggi».

Nato da una questione grandiosa («può il teatro […] disegnare il ritratto di una città, farsi specchio di una comunità e del suo tempo di vita quotidiano?»), l’omaggio di Antonio Calbi e Fabrizio Arcuri a Roma, Ritratto di una Capitale, in origine «un affresco a 48 mani […] volto a rappresentare «una sorta di manifesto poetico e politico del nuovo ciclo del Teatro di Roma [da riproporre, ndr] nella prima parte di ciascuna stagione del quadriennio […] con il coinvolgimento di un’altra squadra di autori, per ogni edizione, in modo da arrivare a un totale di 96 autori coinvolti», diventa nella sua seconda edizione un limitato quadro in miniatura di Sei scene di una giornata a Roma.

Ed è proprio questa diversa grandezza che manifesta una non casuale incoerenza con le dichiarate premesse di ciclicità pluriennale ad autocertificare la sostanziale ammissione di quel mancato «esito felice» esplicitamente dichiarato quale presupposto indispensabile per la programmazione su quattro anni di un progetto ora ridotto a «formato tascabile» – cui, ricordiamo, si accompagnava addirittura l’ambizione «anche in chiave internazionale, con il ritratto delle città capoluoghi delle regioni italiane (Ritratto di una Nazione), delle capitali dei Paesi dell’Unione Europea (Ritratto d’Europa) e di 24 capitali dei diversi continenti (Gran Teatro del Mondo)».

Nonostante gli artisti e le firme d’autore coinvolte (da Valerio Magrelli a Roberto Scarpetti, da Elena Stancanelli a Mariolina Venezia), Ritratto di una Capitale. Sei scene di una giornata a Roma appare, infatti, superficiale nella messa in scena e ingenuo nei contenuti, complessivamente mediocre nelle interpretazioni e discutibile nella direzione di impianti narrativi dal prevedibile sviluppo, nonché inconsistente per come i singoli episodi (eccetto uno) tentano, allestendosi all’interno di interessanti scenografie componibili, di dare forma e sostanza alla caoticità dell’anema e core senza, però, mai costruirne una visione poetica, originale o almeno significativa.

Se a caratterizzare OdioRoma e L’Arcispedale sono argomenti di insostenibile banalità, usati senza dote drammaturgica o credibilità esistenziale per legare i luoghi dell’Urbe al disagio dei protagonisti, e se a deludere clamorosamente di Roma Est e Angeli cacacazzi sono la triste caduta negli stereotipi e il naufragio attoriale (con il solo Sandro Lombardi a salvarsi), è Flaminia bloccata a dare un primo momento di sollievo, riuscendo a diluire nella grottesca surrealtà in cui si dipana lo scontro/incontro tra diverse romanità, indigena e acquisita, tanto le proprie fragilità testuali quanto le recitazioni sottotono di Filippo Nigro (ammirato su altri livelli, per esempio, in Occidente solitario) e Lucia Mascino (costretta e ingessata dall’ironia di un personaggio probabilmente lontano dalle sue corde).

Un comune fil rouge di modestia, dunque, su cui giganteggia (anche in termini assoluti) Alla città morta. Prima epistola ai romani, «lapidario discorso alla città morta e invettiva finale sullo stato della città» con cui Elvira Frosini e Daniele Timpano offrono, finalmente dopo circa due ore di spettacolo, una testimonianza di straordinaria maturità e consapevolezza nella gestione della tensione e della tenuta scenica, beneficiando – rispetto alle fragilità di Zombitudine – della durata ridotta e della declinazione cittadina e non più personale di una tematica cara («forse vivi, forse morti, forse spettri»). Uno stare in scena lieve ma potente nei toni, cinico ed efficace nel dialogare alternato sulla necessità o meno dell’engagement, sull’importanza necessariamente collettiva di ogni intimo impegno individuale, rende Alla Città morta l’unico momento di teatro autentico della serata.

Non abbastanza, purtroppo, per riabilitare da una triste impressione, ossia che Ritratto di una Capitale (in particolare Sei scene di una giornata a Roma), più che il propagandato «manifesto politico e d’arte della Roma di oggi […] preso d’assalto dai cives accorsi a vedere lo stato di salute dell’Urbe», possa essere l’ennesimo tentativo di chi, con insopportabile prosopopea, intende continuare a perpetuare l’insostenibile tesi che a occuparsi dei problemi debbano essere gli stessi (le istituzioni pubbliche nello specifico) che ne sono stati artefici.

Teatro Argentina
Largo Argentina, Roma
dal 22 dicembre 2015 al 3 gennaio 2016

Ritratto di una Capitale
Sei scena di una giornata a Roma

un progetto di Antonio Calbi e Fabrizio Arcuri
regia Fabrizio Arcuri
colonna sonora Mokadelic
set virtuale Luca Brinchi, Roberta Zanardo/Santasangre, Daniele Spanò
produzione Teatro di Roma
durata 2 ore e 20 minuti senza intervallo

OdioRoma
di Mariolina Venezia
con Anna Bonaiuto e Roberto De Francesco

L’arcipedale quando si fa l’alba
di Valerio Magrelli
con Milena Vukotic e Lorenzo Lavia

Flaminia bloccata
di Fausto Paravidino
con Pieraldo Girotto, Lucia Mascino, Filippo Nigro

Roma Est
di Roberto Scarpetti
con Lucia Mascino, Fabrizio Parenti, Josafat Vagni

Angeli cacacazzi ovvero Ah, come starei bene a vive se fossi morto
di Elena Stancanelli
con Sandro Lombardi e Roberto Latini

Alla città morta. Prima epistola ai romani
di e con Daniele Timpano e Elvira Frosini