Giovani promesse tra Schubert e Mendelssohn

chamberNella serata di mercoledì del Rome Chamber Music Festival, in scena i giovanissimi e portentosi allievi del McDuffie Center.

Molto probabilmente Franz Schubert finì di comporre La Trota nel 1819, ovvero a 22 anni, nella fase di piena maturità e produttività della sua breve quanto intensa e significativa carriera, che si sarebbe conclusa nel 1828 alla tenera età di 31 anni. È indicativo che Schubert, massimo esponente del romanticismo musicale tedesco, sia morto precocemente un anno dopo Beethoven, ben più longevo del collega e massimo rappresentante di una precedente generazione, quella che aveva posto le radici e le basi per il futuro sviluppo della musica moderna. Nel repertorio di Schubert un posto di prim’ordine spetta proprio al Quintetto per pianoforte ed archi in La maggiore, D. 667, op. post. 114, meglio nota col titolo La Trota, uno dei brani più conosciuti del genio tedesco nel quale spicca il suo talento nell’ambito della musica da camera, nella capacità di creare dimensioni evocative e trascinanti. Al Rome Chamber Music Festival, in corso attualmente presso Palazzo Barberini a Roma, i giovani allievi del McDuffie Center for Stringes della Mercer University, coadiuvati da alcuni musicisti navigati e affermati, hanno dato una straordinaria prova della loro preparazione e della loro professionalità, non certo compromessa dalla giovanissima età. Per l’esecuzione de La Trota, il coach Elizabeth Pridgen, pianista che ha calcato numerose scene in giro per il mondo, esegue l’opera schubertiana con maestria con i giovanissimi archi, tra i quali si impone il violino di Jecoliah Wang. Ma è l’intero ensemble a dimostrare una precisione e un rigore di altissimo livello, per un’opera nella quale i temi vengono continuamente passati dal piano agli archi, e dove le sinuosità degli slanci della trota diventano l’immagine che meglio esprime lo stile dinamico ed elettrizzante della melodia. La tonalità dominante, il La maggiore, è infatti di per sé espressione di vitalità, per questo rispetto alle tinte malinconiche e drammatiche delle altre opere schubertiane, La Trota sembra quasi un’eccezione, un omaggio disinvolto alla natura.
Dicevamo della bravura dei giovani allievi, che dimostrata per Schubert viene però ingigantita nella seconda opera in programma, ovvero l’Ottetto in Mi-bemolle, op. 20 di Felix Mendelssohn; anche quest’ultimo morto precocemente a 38 anni, anche lui però capace di dimostrare un genio senza pari fin da tenerissima età, basti pensare che il capolavoro in questione fu realizzato a soli 16 anni. Gli ottetti, oltretutto, nei repertori dei classici della grande musica sono abbastanza rari, soprattutto se interamente composti da archi: quattro violini, due viole e due violoncelli, a comporre un tessuto avvincente dotato di soluzioni ritmiche poderose, attraverso le quali gli archi si rincorrono fino allo stremo, e dove il crescendo diventa un fiume in piena meraviglioso. Il primo violino, ovvero il coach Amy Schwartz Moretti, si dimostra all’altezza del suo ruolo, così come gli altri due esperti, la viola Lawrence Dutton e il violoncello Gary Hoffman. Il risultato finale e complessivo è un’altra mitica serata incorniciata dal Salone di Piero di Cortona, e che annuncia un gran finale per questa riuscitissima decima edizione del Festival.

Lo spettacolo è andato in scena:
Palazzo Barberini – Salone di Pietro da Cortona
via delle Quattro Fontane, 13 – Roma
mercoledì 12 giugno, ore 21.00

Rome Chamber Music Festival presenta
Quintetto per pianoforte ed archi op. post. 114, “La Trota” di Franz Schubert
Ottetto in Mi-bemolle, op. 20 di Felix Mendelssohn