Torna a vivere il mito degli amanti eterni

Al Teatro Belli, una versione di gran classe e (finalmente) fedele all’immortale classico shakesperiano.

Romeo e Giulietta di Shakespeare è uno di quei capolavori assoluti che ci appartengono più di quanto possiamo pensare; infatti, come sostiene uno dei maggiori critici letterari in vita, ovvero Harold Bloom, la grandezza del poeta inglese non starebbe nella sua capacità di indagare la psicologia dell’uomo, o nella sua conoscenza delle profondità dell’animo umano, come troppo spesso abbiamo sentito dire. Il suo valore esclusivo nella cultura occidentale sta nel fatto che Shakespeare, attraverso le sue opere immortali, l’uomo “se l’è inventato”: perciò, dopo Romeo e Giulietta, l’uomo ha cominciato ad amare in maniera differente, concependo l’amore stesso secondo criteri inediti che si sono radicati conformando il nostro immaginario.
Per queste ragioni, vedere rappresentato questo capolavoro nella sua integralità, coi dialoghi fedeli all’originale, in costumi d’epoca e attraverso una recitazione tipicamente elisabettiana (che oggi può sembrare così retorica, eccessiva e irrealistica) è sicuramente un privilegio, data anche la moda censurabile di adattare i classici alle esigenze del presente (esigenze? E chi le ha decise?), tagliando testi e costruendo scenografie innovative “al passo coi tempi”.
Il Romeo e Giulietta in scena al Teatro Belli merita una iniziale nota di merito proprio per questo, e d’altronde il giudizio positivo non si riduce affatto a ciò: la regia di Giuseppe Marini è di una classicità commovente, sofisticata nell’uso delle luci e nella posizione dei corpi dei personaggi, ma mai sopra le righe. Straordinari i costumi di Mariano Tufano; molte delle scene risultano potenziate, espressivamente coinvolgenti, di “vecchia scuola” ma il tutto fatto con grande mestiere e meticolosità: una serie di autentici tableaux vivant, specie in occasione delle scene più tragiche, ne sono la conferma, prima fra tutte quella finale coi corpi senza vita dei due innamorati, riuniti nella morte come in un dipinto preraffaellita.
D’altronde, cosa altro si può voler aggiungere o tentare di dire di nuovo rispetto a ciò che è stato detto, in secoli di messe in scena? Eppure, come tutte le grandi opere d’arte, anche Romeo e Giulietta mantiene degli ambiti che il senso comune e la critica hanno magari trascurato, rispetto alla tanto inflazionata storia d’amore disperato che ne è il cuore; qui l’autore ne accenna un paio, senza però esagerare col rischio di snaturare il testo (Romeo e Giulietta è Romeo e Giulietta, ovvero quello che tutti conoscono e che hanno imparato a conoscere, e che vogliono vedere rappresentato): da un lato, si tratta del carattere “capriccioso” dei due giovanissimi personaggi. È vero, come vuole l’immaginario collettivo essi sono due cavalieri al servizio di Cupido, pronti ad affrontare la morte e l’infamia per realizzare il loro sogno d’amore; ma Romeo (l’ottimo Lucas Waldem Zanforlini) è anche un ragazzino che si innamora molto facilmente, che si lascia trasportare dalle emozioni con facilità (come gli rimprovera Frate Lorenzo, un meraviglioso Fabio Bussotti): all’inizio del dramma il suo amore senza confine è per un’altra ragazza, nel giro di pochi minuti resta folgorato da Giulietta e la seduce, durante una rissa non riesce a trattenersi dalla volontà di vendicare l’amico ucciso anteponendo il suo amore all’orgoglio. Dall’altro lato c’è Giulietta, la ragazzina ancora non avvezza alle responsabilità, che si dimostra in più occasioni incerta sul da farsi, persino impertinente quando freme per avere notizie del suo amato. Tutto questo però nello spettacolo è tenuto a bada, per lasciare che si imponga la storia d’amore sopra ogni altra cosa.
Un altro carattere da mettere in evidenza è la figura di Mercuzio, personaggio straordinario e ingiustamente sempre messo da parte, che invece incarna un dramma nel dramma: il regista sembra favorire la chiave di lettura abbastanza diffusa che affida a Mercuzio un amore omosessuale per Romeo, e la sua gelosia motiverebbe la sua devozione per la casata dei Montecchi, i suoi eccessi di ira, i suoi deliri e il suo sacrifico dinanzi all’offesa dell’amico. Grandissimo Mauro Conte nell’esprimere tutto questo, in un personaggio bizzarro, schizofrenico, inquietante e decisamente folle: una fusione tra il fool shakesperiano e il drugo kubrikiano (e la somiglianza dell’attore con Malcolm McDowell, e la medesima espressività, non può che risaltare l’accostamento).
Per chiudere, tentiamo di ridimensionare un poco lo spettacolo: forse la recitazione di tutti gli ottimi protagonisti in alcuni passi è veramente ancora troppo anchilosata al vecchio stile delle regie shakesperiane, forse alcune battute e alcuni versi avrebbero dovuto privarsi del tono troppo lirico e declamatorio e venire recitati in maniera più spontanea e “naturale” (come fa il già segnalato Fabio Bussotti). Ma questo può essere concesso, a chi ci ha permesso per una sera di rivivere la storia d’amore per antonomasia.

Lo spettacolo continua:
Teatro Belli
P.zza S. Apollonio, 11/A – Roma
fino a domenica 29 gennaio
orari: da martedì a sabato ore 21.00, domenica ore 17.30 (lunedì riposo)

Romeo e Giulietta
di William Shakespeare
regia Giuseppe Marini
con Fabio Bussotti, Mauro Conte, Riccardo Francia, Fabio Fusco, Serena Mattace Raso, Fiorenza Pieri, Simone Pieroni, Nicolò Scarparo, Francesco Wolf, Lucas Waldem Zanforlini
scene Alessandro Chiti
costumi Mariano Tufano