Stasera esce il sole

Nonostante l’hybris mostrata da certi esponenti della cosa pubblica (oggi e allora), a Bassano del Grappa ha inizio il festival B.Motion, branca “minore” dell’Operaestate Festival Veneto, giunto alla 37° edizione. A dare il primo schiaffo è Socrate il sopravvissuto / come le foglie della compagnia Anagoor, una lucida e consapevole analisi del sistema formativo italiano contemporaneo tinta di ombre pesanti e cariche di angoscia che si allungano sul futuro del paese.

«SOCRATE: Se tu sei disorientato, non risulta chiaramente da ciò che è stato detto prima, che tu non solo ignori (ἀγνοεῖς) le cose più importanti, ma oltre tutto, pure ignorandole, credi di saperle?

ALCIBIADE: C’è il rischio che sia così.

SOCRATE: Ahi ahi, Alcibiade, quale tormento è quello che provi! Io esito a dargli un nome e tuttavia, dal momento che siamo soli, bisognerà parlarne. Il fatto è, caro mio, che tu coabiti con un’ignoranza (ἀμαθίᾳ) del tipo estremo, come a te rivela il ragionamento fatto, e anche tu riveli a te stesso: ed è per questo che ti getti a capofitto nella politica prima di essere educato. Non sei il solo ad aver sofferto questo male, ma anche la maggior parte di coloro che amministrano gli affari di questa città, ad eccezione di pochi e forse del tuo tutore Pericle».

In questo passaggio dell’Alcibiade primo di Platone, Socrate introduce due temi centrali per la questione dell’educazione: ἀγνοία e ἀμαθίᾳ. Spesso erroneamente tradotti entrambi con l’iperonimo “ignoranza”, i due termini designano due stati completamente divergenti seppur uniti a doppio filo nella concezione moderna di intelligenza, o mancanza di essa. Presi per il loro significato letterario, il primo significa a-gnoia, “non-sapere”, mentre il secondo, a-mathia, “non-imparare”. Considerando lo status sociale di Alcibiade all’epoca è, però, erroneo supporre che costui fosse ritenuto un uomo privo di scolarizzazione da Socrate, ergo il significato del termine va ricercato non tanto nell’incapacità di imparare, quanto nella ritrosia a farlo. I due ostacoli che il giovane greco è esortato a superare per ricoprire la carica politica da lui agognata senza cadere nell’arroganza di chi non sa di non sapere, dunque, potrebbero essere chiamati ignoranza e stupidità. L’ἀμαθίᾳ, infatti, quel male che viene debellato grazie alla dialettica socratica, non è mancanza di conoscenza: nelle sue forme più accennate, si presenta come pensiero oscuro e confuso; nella varietà più nociva, invece, è “disconoscenza” instillata nell’animo per mano di una mala educazione e una cattiva formazione che risulta in falsi valori, nozioni e credenze.

Ed è qui che entrano in gioco Simone Derai e Patrizia Vercesi. Con il loro Socrate il sopravvissuto / come le foglie, la compagnia Anagoor tenta di stimolare «un pensiero alto e articolato attorno all’educare oggi», onde evitare la mortificazione prima e il funerale poi di insegnanti e ragazzi per mano di istituzioni imbevute di, appunto, stupidità. Perché laddove l’ignoranza è la croce e delizia dell’essere umano nato per sua natura ignorante, la stupidità è malattia riservata solo a coloro i quali scelgono più o meno consapevolmente di vergognarsi della propria mancanza di conoscenza, nascondendola e perpetuandola in ogni dove, per non perdere la faccia. Astenendoci da un excursus sulla società delle apparenze generata e non creata dall’Occidente, risulta interessante notare come la compagnia di Castelfranco Veneto abbia l’acume di intrecciare il metodo maieutico dell’antico greco con la banalità (nel senso arendtiano del termine) del sistema educativo moderno, accompagnando il pubblico in un dialogo pedagogico mirato a minare la consapevolezza di sé e a rimettersi in discussione.

La storia, cui fa corona e fondamento il suicidio del filosofo, è quella del maturando Vitaliano Caccia creato da Antonio Scurati per il suo libro Il sopravvissuto. Giunto il giorno dell’esame finale, il Caccia, già rigurgitato una volta dal sistema formativo per la sua ignoranza delle materie scolastiche, si presenta davanti alla commissione pistola alla mano, sterminando tutti i presenti. Tutti, tranne il professore di storia e filosofia. Costui, spalle al pubblico e fronte a un’aula dapprima ordinata e poi via via sempre più caotica e in macerie – in parallelo con la crescente consapevolezza dell’assurdità del proprio ruolo di maestro di vita in una società che vede l’istruzione come pura creazione di forza lavoro destinata a perire – offre (finalmente) il punto di vista dell’insegnante. Guidato da un’ironica («maggio [anticamera della fine dell’anno accademico] è il mese più crudele») e coraggiosa regia squisitamente sperimentale e immaginifica, Andrea Marescalchi si accinge a tenere una lezione sulla morte imminente di Socrate. Gli alunni ne sono rapiti, alcuni si lasciano andare alle lacrime, un’alunna rimane indietro e chiede spiegazioni. Che non arrivano. Perché non possono arrivare. Oggi l’insegnante è raramente in posizione maieutica con i propri studenti, ricorda piuttosto un prete preluterano costretto dalla Chiesa a farsi unico tramite tra il volgo e il verbo, nel caso specifico scritto su carissima carta di bassa qualità e suddiviso in rigorosi capitoli a tematiche granitiche che non lasciano spazio a troppe domande. Sconvolto dall’orrore di cui è stato ed è tuttora capace l’essere umano nel corso della Storia (quantomai simile a una lista di cifre più che a una successione di vite), Vitaliano grida indignato: «che si fa?». «La tesina», risponde affranto il professore. E ha inizio la catabasi.

La riluttanza più totale a immaginare cosa stia provando l’altro, il «prossimo tuo» che non è tuo, ma loro, suo, fuori dal nostro gruppo, sbagliato, ignorante, da bocciare, è il sintomo più patente della piaga della stupidità moderna. Socrate il sopravvissuto / come le foglie analizza questa ἀμαθίᾳ dall’interno, dalla fucina nella quale viene forgiata, dando voce a un uomo che vorrebbe avvicinare le giovani menti assegnate a lui nel ciclo accademico alla Verità, ma che non ha la forza o la volontà di farlo: «sono la madre che va a piangere in bagno», il cinico amareggiato da tutto e tutti che deve mentire e ingannare per non deprimere troppo l’impiegato di domani. E nella sua ignavia osserva i propri alunni disfarsi, appassirsi come foglie sui banchi di scuola, seppellendone la coscienza sotto cumuli di carta straccia e fradicia, relegandone l’apprendimento a uno standard di disconoscenza accettabile per una commissione d’esame pronta a versare cicuta nei calici dei meno “intelligenti”. La nostra società è in generale refrattaria a pensare che i nostri problemi etici possano essere risolti con un ulteriore e differente sforzo educativo e che la cura possa passare per una “conversione” esistenziale dei metodi, ma Platone, avendo facile accesso ai prototipi dell’ἀμαθίᾳ, i Sofisti, era più giudizioso. Rincarando la dose dello stesso insegnamento si ottengono solamente razionalizzazione e astuzie maggiori. Come scrisse il poeta persiano Rumi: «Vendi la tua astuzia e compra perplessità» (sempre che questa rappresenti l’umiltà necessaria per proseguire la ricerca davanti a una via senza uscita).

Osservando a volo d’uccello costruzioni e distruzioni umane, Derai non offre alcuna mano tesa, alcuna soluzione alla conversazione tra anima e anima. E poi lo spettacolo volge al termine, senza offrire risposte esaustive al pubblico ormai assuefatto dalla maieutica teatrale. L’arte del dialogo, secondo Platone, dovrebbe ricondurci al principio, non ricercando una vittoria nella discussione, ma una verità nel dialogo. Essendo questo però un esercizio logico-matematico, l’obiettivo viene mancato per definizione, a meno che l’obiettivo non sia, in effetti, l’indefessa ricerca non di risposte, ma di domande. Domande che aleggiano per le vie di Bassano fino a notte inoltrata.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Remondini
Via SS. Trinità 8/c – Bassano del Grappa
lunedì 28 agosto 2017
ore 21.00

La compagnia Anagoor presenta
Socrate il sopravvissuto / come le foglie
dal romanzo Il Sopravvissuto di Antonio Scurati
con innesti liberamente ispirati a Platone e a Cees Nooteboom
drammaturgia Simone Derai e Patrizia Vercesi
costumi Serena Bussolaro e Simone Derai
maschere Silvia Bragagnolo e Simone Derai
musiche Mauro Martinuz
regia Simone Derai
interpreti Marco Menegoni, Iohanna Benvegna, Marco Ciccullo, Matteo D’Amore, Piero Ramella, Viviana Callegari, Massimo Simonetto, Mariagioia Ubaldi
coproduzione Festival delle Colline Torinesi, Centrale Fies