Il ‘la’ della pazzia

Come un tema musicale, ora farsesco, ora poetico, la follia percorre Stazione Pirandello (Nuntereggaepiù), in prima nazionale al Teatro Sala Uno di Roma. L’intenso atto unico per quattro attori è un’ideale partitura dei ‘pazzi-savi’ creati dal drammaturgo siciliano.

La follia come solitudine estrema, come coraggio della ribellione. E, paradossalmente, come ultima occasione di tornare in sé. Stazione Pirandello (Nuntereggae più), spettacolo di Gino Auriuso che ha debuttato martedì 8 novembre al Teatro Sala Uno, è un ideale viaggio sul “treno che ha fischiato” e ha squarciato le apparenze tra verità e finzione, un deragliamento tra le menti dei personaggi più memorabili di Pirandello.
L’impossibilità di avere una stessa identità per sé e per gli altri, i fantasmi dell’io, l’incondivisibilità saussuriana della parola, l’incomunicabilità tra gli esseri umani («Non ci intendiamo mai»): è questa l’allucinata condizione di tutte le figure chiamate a parlare, interpretate da quattro intensi attori, Sabrina Dodaro, Tony Allotta, Irma Ciaramella e Gabriele Linari.
A scagliare la prima pietra è Vitangelo Moscarda, il “Gengè” di Uno, nessuno e centomila (un lucido Tony Allotta) che, colpevole di resa dopo la fulminante intuizione che ogni essere è molteplice e inesistente, torna infine a calzare l’ennesima maschera. Viceversa, è una pazzia selvaggiamente vitale quella di Enrico IV (esilarante e spaventoso nella versione di Gabriele Linari): ha la meglio sui servitori che lo trasportano come un fantoccio su una biga-carrello, e sceglie di fingersi folle, vivendo in oscena libertà («I pazzi costruiscono con una logica leggera come una piuma, volubili…»). Meglio ancora della «corda civile» e di quella «seria», Ciampa, il dimesso segretario de Il berretto a sonagli (ancora Allotta), trova che sia la «corda pazza» quella più efficace da girare sulla fronte di Beatrice Fiorica («come se tenesse tra l’indice e il pollice una chiavetta») per sfuggire allo scandalo che ha travolto la propria moglie e il marito di Beatrice. La dimensione onirica e fanciullesca di Cotrone, il mago degli Scalognati (I giganti della montagna), e l’umanità ritrovata dal computista Belluca attraverso il rigetto delle regole (Il treno ha fischiato) chiudono invece lo spettacolo con un tono elegiaco e incantato: gli attori si trascinano a vicenda, come marionette, ai piedi del letto e celebrano la «normalissima» pazzia di Belluca.
Nello spettacolo, a turno, uno degli attori dà voce al protagonista e gli altri tre si fanno comprimari. Ma il discorso di ciascuno finisce per disgregarsi, smembrarsi e rimbalzare, coreuticamente, tra i quattro bravissimi interpreti, come a sfaldare le identità. Stritolati dalle convenzioni, gli esseri umani si sottopongono al trucco della vita sociale, che si traduce in un grottesco make-up – non cipria, ma piccoli post-it adesivi – con cui gli attori si impiastricciano il volto. I loro corpi sono camuffati dagli originali costumi di M. Francesca Serpe – pastrani scamiciati, ibridi tra il saio, la veste da camera e la camicia di forza in cromie sgargianti da Pop Art, blu, giallo, verde e rosso.
Più ambizioso di un semplice florilegio, o di un omaggio pirandelliano, lo spettacolo è una “sinfonia” di argomentazioni, che coinvolge lo spettatore come un’opera musicale. Non tanto per la presenza di alcune canzoni di Rino Gaetano (evitando contaminazioni banali, se ne utilizzano solo quattro, che per carica eversiva e senso di alienazione fanno contrappunto esatto ad alcune scene), quanto per il ritmo recitativo e il senso coreografico degli attori. Si passa dalla meraviglia “rock” di Moscarda, introdotta da Nun te reggae più e da un divertente siparietto di tre “pupi” colorati seduti di spalle (Ciaramella, Dodaro e Linari), al rap furente di Enrico IV, che danza sul letto facendo suo il verso «Solo con io davanti allo specchio a tu per tu» (Solo con io), fino all’episodio finale, estratto da Il treno ha fischiato, che prolunga lo stato di magica sospensione di Belluca con Il cielo è sempre più blu. Ma danza e musica sono in ogni atto scenico: i passi funky e gli schiocchi di dita con cui Gabriele Linari e Sabrina Dodaro accompagnano le battute di Spanò, Fana e Saracena; l’angosciante litania che Beatrice Fiorica (Irma Ciaramella) emette insieme a sibilanti sospiri, come una bambola caricata con la cordicella, mentre alle sue spalle Ciampa, trasformatosi in Cotrone (Allotta) la dirige come un direttore d’orchestra in trance («Sono le mie lucciole di mago!»).
Sulla scena un grande, materno letto in ferro battuto è emblema di sonno dogmatico, malattia, ma anche di sogno. I fantasmi della mente diventano una favola: basta fare come i bambini, «che creano i gioco e poi ci credono», come poeti-mendicanti che hanno perso tutto e «danno coerenza ai sogni».

Lo spettacolo continua:
Teatro Sala Uno
piazza di Porta San Giovanni, 10 – Roma (zona San Giovanni)
fino a domenica 27 novembre
orari: da martedì a venerdì ore 21.00, sabato ore 17.30 e ore 21.00, domenica ore 18.00
biglietti: ridotto 10 Euro (gruppi superiori a 5 persone 8 Euro), intero 15 Euro

Teatro Vittoria Attori & Tecnici presenta
Stazione Pirandello
Nuntereggae più
regia Gino Auriuso
con Sabrina Dodaro, Tony Allotta, Irma Ciaramella, Gabriele Linari
aiuto regia Eduardo Ricciardelli
assistente Nicole Calligaris
scene e costumi M. Francesca Serpe
musiche Rino Gaetano