Divertimento assicurato

Sul palcoscenico dell’Anfitrione, dal 22 novembre al 10 dicembre, è andata in scena Storia di borgata, una tragicommedia sull’amore e sulle difficoltà della vita ai tempi dei bombardamenti e i rastrellamenti nazisti degli ultimi anni di guerra, diretta e interpretata da Pietro Romano.

Storia di borgata è un’esilarante tragicommedia, la storia di una coppia romana nel periodo della Seconda Guerra Mondiale e, più nello specifico, negli ultimi anni del ventennio fascista, quando i giochi si facevano durissimi, imperava la povertà e, soprattutto, la libertà e le possibilità di lavoro erano ridotte al lumicino. Ed è proprio il lavoro a stare al centro delle discussioni tra i due protagonisti, un marito scanzonato e ozioso che passa il tempo in osteria con gli amici e una moglie lavoratrice e carica di responsabilità che, all’oscuro di tutti, partecipa attivamente alla Resistenza.

La storia ricorda le commedie plautine, fatte di equivoci, scherzi e lazzi, giochi di parole e personaggi pieni di sorprese. Fortemente caratteristi, gli attori sono attenti al dettaglio, puliti, giusti nei toni e nei movimenti.

Fulcro della commedia è la vis attorale di Pietro Romano, che ci riporta al teatro comico di avanspettacolo anni ’40 e alla commedia musicale tanto rappresentata durante il periodo gaudente e scanzonato degli anni ’80 nelle sale di teatri come il Bagaglino, il Sistina, il Brancaccio e molti altri piccoli teatri di cui Roma è piena.

Un grande elogio, dunque, alla comicità romana, quella che esiste ancora e di cui si rischia di non avere più traccia, in una Capitale in cui i comici sembrano essersi dimenticati delle proprie origini, della propria storia fatta di grandi maestri come Garinei e Giovannini, Alberto Sordi, Lando Fiorini, Aldo Fabrizi e molti altri, in una matassa indistinta di cabaret d’assalto in programmi televisivi, di youtuber da migliaia di like, di imitatori strilloni che appaiono tutti uguali e senza personalità.

Spicca invece la personalità di Pietro Romano, che viene da una famiglia nella quale l’arte è stata sempre centrale, con una madre insegnante di musica e un padre che lasciò la carriera in polizia per fare l’attore. Il nostro Romano, fin da piccolo, ha intrerpretato piccoli ruoli in set cinematografici importanti e in produzioni teatrali rilevanti, per poi studiare con Rendine nell’Accademia di Pietro Sharoff e iniziare la carriera da professionista.

Fin dall’inizio alla fine, Romano mostra essere un comico a cinque stelle, con le sua mimica facciale buffa e spassosa (che ricorda la Commedia dell’Arte), le sue battute fulminanti e il suo modo di coinvolgere la platea con una comicità a bruciapelo. Allo stesso tempo colpisce la sua compartecipazione al ruolo, stanislavskiana soprattutto nel colpo di scena finale, in cui con una recitazione profondamente intima, ragionata, studiata a livello emotivo, commuove il pubblico riportandolo a pezzi di storia noti a tutti i romani (e non solo): i bombardamenti su San Lorenzo, i rastrellamenti di via Rasella e delle fosse Ardeatine, il coprifuoco e i nazisti ovunque.

Serena D’Ercole, che intrepreta Nina, è un altro pezzo forte della commedia, un personaggio che ricorda quello di Anna Magnani in Roma Città Aperta con una forte presenza scenica sia quando è protagonista sul palco sia nei momenti controscena, con lo sguardo perso e gli occhi che parlano; ma centrali sono anche la figura dell’amica impicciona e ladruncola (che apre lo spettacolo in una scena che ne ricorda molte scene dei servi nella commedie plautine), il pubblico ufficiale, il commendatore e la pazza moglie, il soldato nazista e tutti gli altri comprimari.

Si va a teatro anche per essere divertiti e se il ‘900 è contraddistinto dalla nascita della Regia, da un bisogno di disciplinare l’arte attorale e dal fiorire di teatri stabili alla Paolo Grassi e Strehler, allo stesso modo è un secolo colmo di attori comici e di varietà indipendenti, di un teatro che non vincerà il Premio Ubu o il Premio Scenario, ma che ha fatto la storia del teatro italiano, e che ha una sua dignità alla pari di tanti altri.

Bisogna, dunque, anche saper mettere da parte il rigido e serioso intellettualismo che tanto contraddistingue l’ambiente teatrale, per lasciarsi andare, sapere ridere e trascorrere un pomeriggio o una serata dominata «dall’istrionica capacità di porre l’impegno d’un tema che scotta tutt’ora col garbo godibile […] del teatro dialettale romanesco» come quella offerta da Romano all’Anfitrione, teatro situato sull’Aventino, uno dei quartieri più belli di Roma e dove il nostro attore e la sua compagnia saranno ancora in scena dal 21 febbraio all’11 marzo con Sono romano e si sente di Gianni Quinto.

Divertimento assicurato.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Anfitrione

via di S. Saba 24
dal 22 novembre al 10 dicembre
dal martedì al venerdì ore 21.00
sabato e domenica ore 17.30 e 21.00

Storia di borgata
di Ennio Quinto
liberamente adattato diretto e interpretato da Pietro Romano
con Vittorio Aparo, Diego Migeni, Tommaso Moro, Clea Scala, Graziano Scarabicchi, Serena D’Ercole e Marina Vitolo