«Narrami, o Musa, dell’eroe multiforme»

teatrodibutiEnzo Moscato e Isa Danieli ricordano e celebrano Eduardo De Filippo, Napoli, l’arte, il teatro.

«Tà-kài-tà(“Questo e Quello”, in greco antico), non è un testo “da” ma “su” Eduardo De Filippo. È un periplo immaginario, fantastico (e quello della fantasia è l’unico dono “vero”, forse, che un drammaturgo, un fingitore d’emozioni e vita, può fare a un altro drammaturgo, un altro fingitore d’emozioni e vita, io credo) intorno ai pensieri e ai sentimenti – ante e post mortem – che possono avergli sfiorato, per un attimo, l’anima e il cuore. È un vagare per ipotesi, illazioni, supposizioni, né malevoli né benigne, solo magari spontanee, istintive». Così scrive Enzo Moscato nelle note di regia. Un testo “su” Eduardo dunque, e su Napoli, sulla poesia e sul teatro, in cui «la suprema verità è stata – e sempre sarà – la suprema de’ finzioni!». Una riflessione sui trapassati, sui morti, sui “ritornanti” (spesso protagonisti dei testi moscatiani), che rivivono attraverso l’arte che hanno tramandato.
Tà-kài-tà, scritto per il Napoli Teatro Festival 2012, riprende il titolo dal film che un altro poeta, Pier Paolo Pasolini, stava ideando per il drammaturgo napoletano, prima di essere ucciso. Proprio da questa mancata collaborazione e dalle parole con le quali Eduardo definì Pasolini dopo aver avuto la notizia della sua morte, «Era soprattutto un uomo molto buono», inizia il racconto di Enzo Moscato, o meglio la poesia narrante il cui protagonista è Eduardo, in qualche modo anche lui assassinato dalla «chiacchiera malefica e sbarazzina, che tagliuzza e tortura, e dà morte, piano, piano, alla vita di un cristiano».
Enzo Moscato e Isa Danieli (trait d’union tra Moscato e De Filippo, avendo lavorato con entrambi), vestiti allo stesso modo (pantalone nero e casacca bianca), in scena danno voce a Eduardo, che rievoca la propria infanzia, la giovinezza, l’osservazione attenta degli attori a teatro pensando «quando farò l’attore io…»; esprimono la maldicenza, i malintesi, l’invidia dei fratelli, «due angeli custodi… due caini… / due santi… due caimani… / due benedizioni… ’na coppia ’e tirapiedi!», il dolore segreto per la morte prematura della figlia Luisella. Ne emerge l’immagine di un uomo ossimorico (figura retorica cara a Moscato), buono ed egoista, umile ed egocentrico, “multiforme” come spesso sono gli artisti, e come lo ricorda più volte Moscato recitando il primo verso dell’Odissea: «àndra moi ènnepe, Moùsa, polùtropon os màla pollà» («Narrami, o Musa, dell’eroe multiforme»).
L’andamento dello spettacolo è onirico e circolare, fatto di ripetizioni, rimandi, immagini, una sorta di flusso di coscienza, durante il quale i due performer si confondono sulla scena alternando le battute e scambiandosi di posto, e intrecciano racconto e poesia, storia reale e visione dell’immaginario. Il testo drammaturgico stesso (gentilmente concessomi dalla compagnia, che qui ringrazio) è costruito in forma di raccolta poetica dedicata al teatro, al mare di Napoli, ai morti; una raccolta di versi, splendidamente recitati dai due interpreti.
Come in altri lavoridi Moscato, i piani dello spettacolo sono molteplici: uno oggettivo e razionale rappresentato dai racconti sulla vita di Eduardo (il padre Scarpetta, i rapporti conflittuali con i fratelli Peppino e Titina, il dolore per la perdita di Luisella, il lavoro artistico); un piano intellettuale e colto, costruito intarsiando citazioni di testi eduardiani (da Filumena Marturano a Natale in casa Cupiello, da Sik Sik l’artefice magico alla traduzione in napoletano della Tempesta shakespeariana); un piano infine emotivo e viscerale, quando il ritmo dei versi, i movimenti danzanti dei due interpreti, i brani musicali scelti per la performance (da Elton John a Giacomo Puccini, dalla musica popolare napoletana al valzer) creano un’atmosfera onirica.
Lo spettacolo decreta in qualche modo una riappacificazione con le origini: la cosiddetta “nuova drammaturgia napoletana” infatti, di cui fecero parte lo stesso Moscato, Annibale Ruccello, Manlio Santanelli, nacque come antitesi a De Filippo. I “nuovi drammaturghi” usavano un dialetto aspro e arcaico, sanguigno e carnale, assai lontano dal napoletano italianizzato e imborghesito di De Filippo; parlavano di miseria estrema, di bordelli e travestiti, di omicidi, rappresentavano un mondo ben diverso da quello saturo di buoni sentimenti delle pièce eduardiane. Tà-kai-tà, intreccio di citazioni ed episodi personali, com’è caratteristico della drammaturgia moscatiana, usa l’opera e il vissuto di De Filippo, come se Moscato si identificasse col vecchio maestro-avversario, e costruisce un lavoro che si pone a metà tra le due poetiche, fino a quel momento distanti e opposte tra loro.
I “ritornanti” di questo testo sono Eduardo e Luisella De Filippo, Pier Paolo Pasolini, la Napoli di un tempo, la poesia degli artisti, e la speranza che «il gioco dell’inventare e fingere, riflettere e far splendere, la vita, che è il gioco del Teatro, non sia mai finito, mai sia stato smesso, da quelli che supponiamo ci abbiano per sempre abbandonati: i cosiddetti Morti, i Trapassati».

«Marò, che friddo! Che friddo!
Me pare ’a Sibberia, ’o Polo Nord!
Che friddo!
Eh!
E, ccà, due sono le cose:
o chiste m’hanno lassate tutt’ ’e porte aperte,
e nun me facesse maraviglia cu’ e ccape’ ’e chiùmmo
ca téneno!
guardiani d’ ’o Niente!
Oppure… s’è spezzato l’àsteco c’aunìsce ’a Terra c’ ’o Sole,
e si precipita nel fondo…
gelàte, gelàte… chi sa addò?!»
[Enzo Moscato, Tà-kài-tà]

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Francesco di Bartolo – Buti
domenica 14 aprile, ore 21.15

Tà-Kài-Tà. Eduardo per Eduardo
di Enzo Moscato
regia Enzo Moscato
scena Tata Barbalato
costumi Giuliana Colzi
luci Donamos
sarto Luciano Briante
fonico Gianki Moscato
organizzazione Claudio Affinito
con (in ordine alfabetico) Isa Danieli, Enzo Moscato
produzione Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia, Compagnia Teatrale Enzo Moscato
(durata 1h 15’)