Colazione all’Operà

Nel nuovissimo e interessante Teatro Millelire, nel quartiere Prati, risuona l’eterno canto del cigno.

Resta un mistero il vertiginoso impulso alla creazione, la volontà di gettare le reti nell’invisibile e lavorare sulla forma senza alcuna garanzia. «S’indaga l’infanzia del genio, dopo che si sa che è un genio» scrive Javier Marías, ma prima c’è quasi sempre un tormento, il dubbio dell’incertezza sulla modalità d’impiego della propria esistenza, il disagio nell’esprimere apertamente se stessi, spesso lo scontro violento con la società quasi mai provvista degli strumenti per comprendere, la famigerata maggioranza. Dietro alle opere d’arte c’è una persona, una vita in chiaroscuro, costruita un giorno dopo l’altro nei contrasti. Banale, certo, ma ogni volta sorprendente.
La penna di Harris W. Freedman ha incontrato Pyotr Ilych Tchaikovsky e ha disegnato il profilo della sua anima. Un’impresa non da poco distillare in una drammaturgia di un’ora e mezzo la vita del compositore russo, dal ventiquattrenne diplomato al conservatorio fino alla morte, a soli 53 anni, avvenuta in circostanze ancora dibattute ˗ è stato il colera come vuole la versione ufficiale oppure scelse di togliersi la vita per evitare lo scandalo che sarebbe esploso di lì a poco per sodomia? Una vita funambolesca, in un costante equilibrio precario, nella sfera intima, nei suoi bisogni materiali e finanziari, oltre che nella ricerca estetica.
Presentato in forma di lettura scenica al Tristan Bates di Londra, Tchaikovsky debutta in prima mondiale al Teatro Millelire di Roma. Un testo equilibrato. Nel senso che per ogni felice soluzione rappresentativa, corrisponde una perplessità. A cominciare dal protagonista. Carlo Greco è un attore di spessore nel panorama italiano e sulla scena incarna in maniera assai credibile il personaggio: il suo aspetto resta legato alle sembianze di Tchaikovsky nella memoria degli spettatori. D’altra parte nel capitolo iniziale, si fatica a crederlo un giovanotto di 24 anni alle prime armi, specie se la concentrazione mnemonica impiegata a seguire il corso delle battute si risolve in episodi da manuale come quando, in pieno stile declamatorio, racconta di un prestito di 10.000 euro, senza considerare l’opportuno cambio in rubli. Certamente si insiste sul tema del nascondimento. L’omosessualità velata finalmente si svela sul palco, disquisisce liberamente di masturbazione e dell’eccitazione ispirata dai giovani allievi in accademia. Addirittura spalanca le braccia, flette i polsi, piega le ginocchia e prende a saltellare come una ninfa nei boschi. Spesso i movimenti sulla scena sono una vera e propria danza, gabella dovuta all’autore che ha raggiunto l’apice nella composizione musicale per il balletto classico. I personaggi rappresentati sono dieci, nulla rispetto a tutte le persone che hanno accompagnato la vita di Tchaikovsky, ma troppe per riuscire a collocarle in pieno nella vicenda. I quattro attori si impegnano con risultati notevoli a mutare movenze e tono vocale, nei bei costumi realizzati da Cabiria D’Agostino, ma il loro comparire al centro del palco risulta vagamente frammentato. A un personaggio melenso e monocorde come Modya (che non ripaga l’impeccabile interpretazione di Gianluigi Pizzetti) si oppone la figura della vedova Filaretovna von Meck, per dodici anni principale sostenitrice economica di Tchaikovsky e donna dalle numerose sfaccettature, dura nei confronti del matrimonio e della famiglia, quanto estremamente sensibile verso la musica composta dall’uomo che ha incontrato poche volte, ma con il quale ha intrecciato un rapporto profondo, come documentato dal loro fitto carteggio. Infine, brillante l’idea di eseguire dal vivo le musiche di accompagnamento, in fondo Tchaikovsky è un compositore prima che un personaggio. Il pianoforte di Giovanni Monti e lo struggente violino di Farfuri Nuredini sono potentemente evocativi e armoniosi nel seguire il corso della narrazione, peccato però che spesso non superino la quinta battuta sullo spartito. Un assaggio da restare affamati. Eppure i difetti non rendono Tchaikovsky nel suo complesso un’opera sottotono o vana, sono realmente tante le informazioni che trasmette, senza privarsi di momenti lirici di indiscutibile valore. Può essere che il risultato sia funzionale alla figura straordinaria dell’autore de Il lago dei cigni, impossibile da definire con contorni netti, vinto dall’affanno di compiacere senza poter mostrare tutto di sé, una vita eccezionale, ma trattenuta, in un certo senso attenuata, come un “sogno d’inverno”, il titolo della sua prima sinfonia.

Lo spettacolo continua:
Teatro Millelire
via Ruggero di Lauria, 22 (via Candia) – Roma
fino a domenica 3 marzo
orari: da martedì a sabato ore 21.00, domenica ore 18.00
(durata 1 ora e mezza circa senza intervallo)

Neraonda presenta
Tchaikovsky – Spettacolo con musica dal vivo
testo e regia Harris W. Freedman
traduzione Gail Roberts, Lydia Biondi
con Carlo Greco, Gianluigi Pizzetti, Irma Ciaramella, Elisabetta Ventura
pianoforte Giovanni Monti
violino Farfuri Nuredini
costumi Cabiria D’Agostino
movimenti coreografici Lydia Biondi
aiuto regia Giovanni Morassutti
assistente alla regia Teresa Pascale
designer luci Dario Aggioli
fotografo di scena Rafael Jeneral
produzione esecutiva Mariano Grimaldi
organizzazione Elisabetta Nepitelli Alegiani