Teresa e l’ABC della morte

Terzo appuntamento della saga teatrale Teresa, santa puttana e sposa. È la volta di ABC del combattimento tra Teresa e il vaiolo nero.

A Cozzuto Volturno imperversa il vaiolo. Ci si chiede se serva solo fortuna a scampare alla malattia, o se un ben strano merito sia individuabile in chi rimane. Sembra che chi tenga alla vita, muoia, mentre chi la disdegni – chissà perchè – è scansato dalla morte come un appestato. Se la vita è una malattia, destino degli uomini è lasciarsi contagiare dal suo morbo. Colui che al contagio sopravviva, proprio perchè intaccato, può fondarsi su una mancanza che si scopre costitutiva, lasciandosi vivere “alla come viene”, “alla come si può”.

Le donne si rivelano più attrezzate alla catastrofe. Teresa – sebbene privata dell’amore necessario – si erge proprio su una assenza per rivendicare a sé il proprio diritto ad essere donna contro ogni precoce corruzione subita, al di là di ogni mortificante attributo sociale, e trovando proprio nella malattia la spinta a guardare il mondo orgogliosamente diritto negli occhi. Forse proprio una precocissima deflorazione ha permesso in lei di fondere insieme candore e spregiudicatezza, tale da cantare con Rita Pavone (Cuore, 1963) che si è soli con la propria invitta innocenza a ridere, piangere, a dividere con questa lacrime, palpiti e tormenti.

Teresa in fondo ha subito più volte il tocco della morte senza soccombere. Questo gli ha permesso di parlare la sua lingua. Ottorino Spinazzola, il medico del paese e amante di Teresa, al contrario ne ha paura. Tiene alla rispettabilità del proprio ruolo sociale, tanto da scappare con un banale pretesto, senza aspettare l’arrivo dei vaccini. Il vaiolo detta l’ABC di un dizionario impazzito, in cui il caos aggredisce la vita. Alla percezione del male, cala il sipario sulle parole che d’ora in avanti mostreranno sempre più lo scheletro del senso, fino a fare semplice segnaletica in un lapidario epitaffio.

I personaggi narrano la storia del contagio a più voci, dietro un tavolaccio che ingombra la piccola scena dello Studio Uno, impedendo ai corpi di muoversi agevolmente. Solo voce e suoni possono spingersi oltre il palco, tradendo meschinità e piccole perversioni. La voce possiede una suggestiva coloritura dialettale; i suoni (si preparano vettovaglie, si approntano i vaccini), contribuiscono a fare della scena una sorta di fucina galenica, o una specie di “radio libera” ante litteram che commenta accadimenti di morte.

Non si può non mettere in relazione questa scelta drammaturgica (volutamente statica, con le sole voci a mobilizzare la scena), con la fresca memoria del secondo episodio, in cui il pubblico era stato tirato dentro l’azione mediante l’abolizione del confine tra scena e platea. I personaggi appaiono stavolta alla stregua di un album di fotografie, senza dimensione spaziale in profondità, possibile da apprezzare solo se corpo e voce insieme “bucano” il boccascena, arrivando a perforare l’attenzione fluttuante del pubblico.

«Meglio puttana che mantenuta» esclama la protagonista nel finale. Meglio darsi all’onesta morte che a un uomo convinto di avere una pelle “speciale”. Teresa al contrario sa di non avere niente di speciale per cui morire, che tutta la sua ricchezza è nell’Altro. Può quindi permettersi di disprezzare la vita, contando solo sul suo “povero cuore”, che “sempre più, sempre più soffrirà”.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Studio Uno
via Carlo della Rocca 6, Roma
dal 1 al 4 febbraio 2018
da giovedì a sabato ore 21, domenica ore 18

Teresa, santa puttana e sposa – capitolo 3 – ABC del combattimento tra Teresa e il vaiolo nero
di Marco Bilanzone
regia Lorenzo Montanini
con Nadia Rahman-Caretto, Flavia Germana De Lipsis, Jessica Granato, Eleonora Turco, Alessandro Di Somma, Giuseppe Mortelliti
costumi e grafica Valentina Cardinali
Produzione Teatro Studio Uno