Napoli, Paradiso e Inferno poetico

Biglietti esauriti da giorni al Teatro Argentina di Roma per uno degli spettacoli in cartellone tra i più attesi dal pubblico. D’altra parte era prevedibile se in scena Toni Servillo legge Napoli.

Entra in scena appena si spengono le luci. A passi svelti, tra gli applausi entusiasti, guadagna il centro palco dove lo attendono una sedia, utilizzata come scrivania, un leggio e un blocco di fogli sparsi. Se durante lo spettacolo uno di questi scivola a terra, lo raccoglie con cura per riporlo in sequenza. Quelle stesse pagine costituiscono, di fatto, gli elementi della compagnia in tournée che accompagnano uno tra gli attori più amati al cinema e in teatro. Toni Servillo non ha bisogno di presentazioni, saluta con un gesto della mano o forse è il gesto virgiliano della guida quando riconosce il gruppo di viaggiatori. Il pubblico è comodamente seduto, eppure si avvia lungo un percorso straordinario. Un itinerarium mentis nella poesia napoletana tra Ottocento e Novecento, idealmente concepito come una discesa agli Inferi, dal Paradiso attraverso il Purgatorio. Le parole prese a prestito da Salvatore di Giacomo da Lassamme fa’ a Dio collocano la scena nell’alto dei cieli. Il Padre Eterno e San Pietro decidono di scendere sulla Terra e si catapultano nella caotica Piazza Dante a Napoli. Un testo spassoso e commovente, come la maggior parte delle lettura che seguiranno. L’ironico Vincenzo de Pretore del grande Eduardo rischia di mandare per aria le gerarchie celesti in una disputa logica tra un mariolo, ucciso mentre rubava un portafoglio, e il suo santo protettore San Giuseppe. La geografia, pur nella fantasia ultraterrena, è sempre riferita alla terra, in mezzo alle faccende di un’umanità ai margini, popolare e genuina, che «industrializza la disonestà» per cercare di mantenere in piedi un’esistenza, e subisce i fatti del mondo con rassegnazione ma anche tenacia che spinge ad apprezzare ciò che si ha, e un amareggiato senso di delusione di chi può cambiare le condizioni solo dopo la morte. A Madonna d’è mandarine e E’ sfogliatelle del poeta e musicista Ferdinando Russo, all’epoca considerato rivale di di Giacomo, raccontano del carcere, a seguire, la tragica morte bianca di un giovane muratore in Fravecature di Raffaele Viviani, poeta commediografo che, contemporaneo di de Filippo, si impegnò a descrivere personaggi affatto borghesi, una schiera di umili lavoratori. Sono autori poco noti, ma straordinariamente evocativi. Come spiega lo stesso Servillo, «spesso i grandi poeti corrispondono ai grandi uomini di scena». Le liriche presentate non trattano tanto l’universo interiore, raccontano piuttosto delle storie, si sviluppano fin nei dettagli, cinematograficamente, si esprimono attraverso dialoghi musicali, come solo nel dialetto partenopeo, percorrendo gioie e dolori di una società che tanto richiama la crisi del mondo attuale. L’antologia dei testi scelti da Servillo è bellissima. L’attore li frequenta da anni con la compagnia da lui fondata, Teatri Uniti. Ogni brano, in questa lingua strafottente e sguaiata, modellata con eccellente abilità, mostra nuda la realtà, lasciando sconcertati e più coscienti. La voce dell’attore casertano si adegua ai versi, vi si incolla, si gonfia nell’invettiva di Borrelli, e diventa soffice e carica di dolore in ‘O vecchio sott’o ponte, regalo poetico di Maurizio De Giovanni, una voce sospirata e urlata, aristocratica e operaia, diviene litanico scacciapensieri e infine aperto canto tradizionale, si muove come lenzuola al vento creando forme plastiche e atmosfere uniche permeate da emozioni palpabili. Non è un reading da intellettuali, è teatro, minimalista, essenziale, ma ricco di tutte le sue più vive componenti. Una volta ascoltati in questa veste, i brani sembrano non avere altra modalità di lettura, Servillo sembra averli esauriti di ogni intento comunicativo, pause e virgole comprese. La conclusione doveva essere una dedica alla maschera più rappresentativa di Napoli, Totò, A’ Livella, ma sceglie invece di terminare questo emozionante viaggio pescando dalle canzonette popolari, esempio massimo del genio e dello spirito partenopeo. Lo spettacolo con grande maestria inonda il pubblico e lo sazia, uno stimolo a riflettere anche sulla nostra condizione, un incitamento a tenere duro in questo paese zoppo e sbilenco, ma latore di siffatta arte che verrebbe voglia di tornare a nascere napoletani per comprendere fino all’ultima sillaba questa lingua che non è Napoli, è l’Italia. Dal palco in prima galleria, assiste il Presidente Napolitano, applaudito al suo ingresso in sala accompagnato dalla moglie, giunto a porgere il suo omaggio alla sua città natale e all’arte, o meglio, all’Arte.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Argentina
Largo di Torre Argentina, 52 -Roma
fino a domenica 26 febbraio
orari: martedì, mercoledì e venerdì ore 21.00, giovedì e domenica ore 17.00, sabato ore 19.00 (lunedì riposo)
(durata 1 ora e mezza circa senza intervallo)

Produzione Teatri Uniti presenta
Toni Servillo legge Napoli
con Toni Servillo
testi Salvatore di Giacomo, Eduardo de Filippo, Ferdinando Russo, Raffaele Viviani, Mimmo Borrelli, Maurizio De Giovanni, Giuseppe Montesano, Michele Sovente, Enzo Moscato