Cronometrando Shakespeare

vittoria-teatro-romaAl teatro Vittoria, anche in versione Bignami, il Bardo non perde il suo carisma.
Benvenuti rilegge Tutto Shakespeare in 90 minuti, coniugando humour anglosassone e teatralità toscana.

Sintetizzare l’opera omnia del massimo scrittore inglese in novanta minuti?
Sarebbe l’incubo di qualsiasi studente. Tanto più se questo scrittore si chiamasse Shakespeare, e avesse attraversato con i suoi versi tutti i toni dell’umano sentire, toccato con le sue parole ispirate tutte le corde dell’anima, le vibrazioni del cuore, i tumulti dell’essere. Farne un surrogato per il palcoscenico poteva essere una scelta disastrosa, ma il trio di autori inglesi che parecchi anni fa si cimentò nell’incredibile impresa di centrifugarlo e comprimerlo, realizzò qualcosa di inatteso e vincente. Perché in fondo, che tratti di un amore adolescente o dell’ambiguità del potere, di gelosia devastante o ambizione sfrenata, il poeta di Stratford, pur così poliedrico, è sempre uguale a se stesso, in quel modo monotono e sottile che appartiene solo agli artisti più puri, come Dante, Milton, Proust, capaci di imprimere la loro cifra stilistica su qualsiasi materia, non adattandosi a essa, piuttosto riducendola a sé.
Per quanto non ci sia un solo Shakespeare quindi – magari chi ama La bisbetica domata poco si appassiona alle fantasie del Sogno di una notte di mezza estate, chi riflette su Il mercante di Venezia meno si sintonizza su La tempesta – siamo davanti a un genio a cui va riconosciuta l’abilità assoluta nel passare dalla più tetra tragedia al più sfrenato estro comico mantenendosi originale e fedele a se stesso. Un se stesso formidabile e monumentale, ovvio, simile a un personaggio mitico, una vita intera dietro un nome fittizio, sacro e al tempo stesso svuotato, come fu per Orfeo o Omero.
In questo spettacolo troviamo dunque drasticamente applicato al multiforme ingegno del Bardo quel meccanismo di spudorato citazionismo comico che, attraverso la macedonia di riferimenti a cascata, trasforma l’originale in ben altro, all’insegna di un’allegra sperimentazione che ha fatto ormai scuola anche sul web, regalandoci chicche dei più diversi generi, dai Promessi Sposi, condensati in dieci minuti, all’intera saga del più che ventennale Beautiful, ridotto a sei, record tascabili da guinness se si pensa che persino l’Heidi di Miyazaki ne ha pretesi quasi quattro…
Non temiate confronti: lo spettacolo di Benvenuti, in un gustoso crescendo, arriverà a regalarvi addirittura un Amleto di 4 secondi (cronometrare per credere!).
Incalzati dall’urgenza della sintesi, in un’atmosfera da vaudeville nostrana, gli attori giocano qui col pubblico e con il teatro più nobile e classico, modellando la pasta drammatica di cui è costituito per buona parte il mondo shakespeariano con levità dissacrante. Anzi, la regia italiana di Benvenuti – che paradossalmente, nella sua lunga carriera artistica, mai si era prima confrontato col Bardo – infonde una vivacità da commedia dell’arte al testo inglese, scegliendo di puntare sul gesto soprattutto laddove l’intraducibilità di alcuni giochi di parole, allusioni o doppi sensi, rischiava d’indebolire la resa italiana.
Surreale, a tratti dadaista, lo spettacolo si muove da un Tito Andronico in versione MasterChef splatter, a un Otello rap e corale. In questa spericolata rivisitazione persino la fedeltà storica che imponeva al teatro elisabettiano di affidare agli attori i ruoli femminili ha buon gioco nell’offrirci una Giulietta improbabile e smaliziata, un’Ofelia giuliva e urlante come nel peggior remake di Suspiria. A interpretarle un Nino Formicola debordante e sopra le righe, ispirato da un trasformismo alla Fregoli pasticcione e sfrenato. Più flemmatico ma assurdo al pari, come ai bei tempi in cui divideva la scena con Athina Cenci, Alessandro Benvenuti, di certo meno contenuto nella regia. Bravo il più giovane Francesco Gabbrielli a tenere il passo con i due comici sbizzarriti.
La scenografia cerca di ripristinare un vago ordine cartesiano, con le sue porte chiare e distinte, attraverso cui sfilano e si trasformano i personaggi.
A tratti un po’ sgangheratamente, ma si ride. Attenzione, c’è una controindicazione: dopo, non potrete più assistere al celebre monologo dell’Amleto senza che un sorriso vi affiori sulle labbra ripensando ai volteggi di Yorich.

Lo spettacolo continua
Teatro Vittoria

Piazza Santa Maria Liberatrice 10, Roma
fino al 13 marzo
ore 21.00 – martedi ore 20.00; mercoledi ore 17.00, domenica ore 17.30

Tutto Shakespeare in 90 minuti
di Adam Long, Daniel Singer, Jeff Winfield
traduzione Paolo Valerio
adattamento e regia Alessandro Benvenuti
assistente di regia e collaborazione all’adattamento Chiara Grazzini
con Alessandro Benvenuti, Nino Formicola, Francesco Gabbrielli
costumi e oggetti Pamela Aicardi, sartoria Chiara Defant
disegno fondale Francesca Pedrotti, realizzato da Keiko Sgiraishi
colonna sonora Antonio Di Pofi
luci Enrico Berardi
coproduzione a.ArtistiAssociati / Fondazione Atlantide – TeatroStabileVerona