L’indagine dell’anima in camera

Al Teatro Lo Spazio di Roma è andato in scena Vecchi Tempi, il Kammerspiel di Pinter che sembra spiarci nel profondo ancora oggi.

Tanto Bergman nel cinema, quanto Strindberg nel teatro, ci hanno insegnato come una stanza possa diventare la scena esaustiva di un memorabile dramma, lo spazio per lo sviluppo di un’intera narrazione, proprio perché nella stanza l’universo complesso e articolato di diverse esistenze possono entrare in conflitto, sovrapporsi, risolversi. Questo anche perché la vera arte, e in special modo il grande teatro, sa bene che non è necessario puntare sulla fantasmagoria di ambienti fantastici per addentrarsi nella psiche o nell’anima dei personaggi: una stanza può bastare da cornice, se i personaggi e la vicenda che li coinvolge sono tali da colpire lo spettatore. E il discorso è altrettanto valido a proposito degli interpreti e di chi mette in scena la pièce in occasione di determinate rappresentazioni.

Dobbiamo ammettere che non ci sarebbe stato bisogno di sottolineare il valore e l’importanza del genere del Kammerspiel, che rappresenta una fetta consistente della tradizione drammaturgica, specie nella modernità; il punto è che spesso questo genere torna sorprendentemente tanto nel cinema che nel teatro contemporaneo, quando ci si aspetterebbe tutto fuorché un ritorno a una modalità narrativa così statica, classica, interamente incentrata sul dialogo e sull’atmosfera piuttosto che sull’azione e sullo choc.

Ne è un esempio fenomenale un autore come Harold Pinter. Premio Nobel nel 2005, drammaturgo, poeta e sceneggiatore è, probabilmente , una delle personalità più significative per comprendere le tendenze del teatro contemporaneo, al di qua di scalmanate sperimentazioni e di quella tendenza – tipicamente postmoderna – a sopprimere il testo. Pinter è infatti un grande autore di testi, profondi e taglienti, dedicati all’analisi intimista delle tensioni e delle ipocrisie tipiche della borghesia e della middle class inglese.

Portare in scena Pinter oggi è di certo difficile, perché potrebbe comparire agli occhi dei più ingenui qualcosa di lontano dalla nostra realtà. Forse anche spocchioso e radical chic , ma i suoi Kammerspiel sono delle indagini sull’anima e dell’anima, scatole chiuse dove sono le forze della psiche e della memoria a emergere; questo accade in Vecchi Tempi, opera tra le più note di Pinter, ben portata in scena da Rosario Tronnolone presso il Teatro Lo Spazio.

La triangolazione – ottimamente interpretata in un solo atto da Evelina Nazzari, Alessandro Pala e Maddalena Recino – fa dello spazio di una stanza, l’ambito nel quale dimensioni temporali si rincorrono, dove il pensiero, il presente e il passato si confondono  come in un cristallo, complice un’attenta regia che attraverso le luci riesce a creare momenti di forte intensità emotiva, per poi tornare nell’apparente calma dell’interno. Una calma che vibra e che nasconde verità compromettenti e imbarazzanti, fino alla verità finale che mette in discussione quanto abbiamo visto.

Ciò che si presentava come realistico è in realtà la proiezione immaginifica e fantasmatica della mente di ciascuno.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Lo Spazio
via Locri, 42 – Roma
dal 4 all’9 novembre
ore 20.45, domenica ore 17.00

La Compagnia delle Rose ha presentato
Vecchi Tempi
di Harold Pinter
regia Rosario Tronnolone
luci Luisa Monnet
con Evelina Nazzari, Alessandro Pala e Maddalena Recino