Grazie dei fior

teatrodibutiDai tempi di Nilla Pizzi qualcosa è cambiato per le donne in Italia, soprattutto a livello legislativo. Ma nella pratica quotidiana, bisognerebbe avere superpoteri per districarsi in questo mondo dominato dai maschi.

Bello ritrovarsi a teatro come donna per vedere tre donne sul palcoscenico che parlano di me, di noi. In un universo soffocato dall’economia, dal mondo degli affari, dalle politiche, dalla cultura e dall’arte maschili (perché, se è difficile per un omosessuale o una lesbica vedere un film in cui sono loro i protagonisti, lo è quasi altrettanto per noi donne) fa piacere confrontarsi con un testo che ragiona e propone, dialoga e ironizza sull’altra metà del cielo.
Antonella Questa, Giuliana Musso e Marta Cuscunà intessono un discorso fitto, tra sketch e approfondimenti psicologici, per valutare la situazione della donna nella società borghese occidentale. Con riferimento soprattutto, ma non esclusivamente, all’Italia. Tra i fanalini di coda in fatto di diritti ma, rispetto alle violenze sulle donne, sottobraccio persino con gli svedesi. Come dimostrano gli autori e le autrici che, negli ultimi anni, hanno più volte denunciato come nella loro civilissima patria le donne siano altrettanto brutalizzate tra le quattro mura domestiche. Sebbene le quote rosa ai vertici delle aziende, le favoriscano nell’inserimento in ruoli manageriali.
Lo spettacolo però – malgrado debba ancora essere un po’ smussato quando si tratta di dati, fatti e descrizioni di comportamenti psicologici – non ha né il piglio demagogico né un intento meramente pedagogico. E usa, al contrario, il luogo comune come grimaldello per scardinare i pregiudizi che ancora affliggono la nostra società, impedendo a metà dei suoi membri di esprimersi appieno. Perché la mancanza di un lavoro è una violenza pari al divieto all’esercizio di qualsiasi altra libertà.
Gustosissimo poi l’intermezzo pop di Marta Cuscunà con i pupazzi, che delinea un quadro impietoso ma fortemente autoironico dei preconcetti che costringono noi donne nei confini di genere fin da piccole.
Uno spettacolo valido, quindi, che si applaude con calore. Qui finisce la recensione. Il resto sono opinabili considerazioni personali.
Se qualcosa come donna, non mi ha convinto, è il discorso sulla maternità – oltre a quello sulla donna manager. Sebbene sia vero che in Italia la natalità è bassa, nel mondo siamo in 7 miliardi. E, al di là della giusta rivendicazione di molte di non voler essere madri, il problema è, e sarà sempre di più, il sovrappopolamento, unito all’aumento dei consumi e, di conseguenza, dell’inquinamento atmosferico. Come racconta bene nel suo ultimo libro Naomi Klein, Una rivoluzione ci salverà, il rischio è di arrivare a più 6°C nel 2100 e, allora, tra scioglimento della calotta polare artica, innalzamento degli oceani, distruzione delle città costiere e inaridimento delle fasce sub-sahariane e di parte dell’India e della Cina, sarà difficile affrontare il disastro climatico e ambientale. In fatto di natalità, pensare all’Italia come un’entità a sé stante, con netti confini politici, è una sovrastruttura concettuale disgiunta dalla realtà fisica, storica e bioclimatica. Esistono flussi migratori che potranno ridistribuirsi nel breve e nel lungo periodo perché nessuno Stato è eterno così come nessuna entità storico-politica.
La donna manager poi, in quanto tale, non mi sembra la soluzione. Come persona non m’interessa il Pil, quanto il Bil – il benessere interno lordo. Se l’inserimento delle donne nel mondo lavorativo deve rispondere solo alle logiche di arricchimento del Capitale e del neo-liberismo di matrice friedmaniana; ebbene, a questa risposta alla crisi preferisco non prestare orecchio. Se, al contrario, diventa il volano per una crescita a impatto zero sull’ambiente, con donne e uomini che lavorano sempre più nei campi della cura, della cultura e dell’educazione, allora condivido e sottoscrivo. Ma non nella mera produzione di oggetti futili che riempiono le nostre case e svuotano il nostro cervello, che inquinano la Terra sia nel momento della produzione che in quello dello smaltimento, che trasformano il consumismo frenetico di una piccola percentuale della popolazione globale nello sfruttamento di massa della maggioranza.

(alla recensione ha collaborato Luciano Uggè)

Lo spettacolo è andato in scena nell’ambito della Rassegna Teatri di Confine:
Teatro Francesco Bartolo

Via Fratelli Disperati, 4 – Buti (PI)
venerdì 6 novembre, ore 21.15

Wonder Woman
reading su donne, denaro e super poteri
di e con Antonella Questa, Giuliana Musso e Marta Cuscunà
direzione tecnica Claudio Parrino, Erika Borrella e Daniele Passeri
costumi Susanna Guerrini, Antonio Musa
elementi scenici Francesca Laurino
organizzazione Miriam Paschini, Serena Sarbia
produzione La Corte Ospitale