Storia ed emozione: il documenteatro

Recensione 1968. L’Italia compie 150 anni e il Teatro della Cooperativa riflette sulla storia. Incontri con epoche straordinarie, secondo capitolo: un anno leggendario sezionato e ricomposto attraverso gli occhi caleidoscopici di Serena Sinigaglia.

Può il teatro essere documentario? Serena Sinigaglia dice sì.
Primo, documentarsi, appunto. Ricercare, spulciare libri e video, andare alla scoperta di piccoli fatti privati e importanti discorsi pubblici, cercare tra le notizie, tra i ricordi, gli avvenimenti e gli stereotipi.
Secondo, scegliere e scartare, dividere e raggruppare, tagliare il superfluo e illuminare il necessario.

Terzo: trasformare la Storia in teatro.
Il risultato è 1968, spettacolo che di quell’anno porta il nome, racconta i fatti e riutilizza i metodi, in un tripudio di vorticanti episodi che passano dal piccolo al grande, dal provinciale al mondiale per tornare alla nostra dimensione nazionale, attraverso l’incontro con personaggi famosi, comuni, anonimi o anche solo simbolici, collegati tra loro da quella che forse è la forma di comunicazione più rappresentativa di quel periodo: la musica rock.

Chitarra, basso e batteria, solidi e ingombranti, occupano il palco. Intorno, gli studenti occupano i banchi, le aule, i dormitori e le università, gli hippie occupano le strade, e le donne occupano – pretendono – un nuovo ruolo.

Come nel rock, il ritmo è frenetico ed eccitante, i passaggi da una scena all’altra, da un tema all’altro, da un ambiente a quello successivo, dal riso al pianto sono velocissimi e naturali, l’ordito è magistralmente tessuto e gli attori – anzi, le attrici, le quattro bravissime e instancabili interpreti – riescono a tenere ottimamente testa ai continui cambiamenti. Lucide e precise, si muovono senza intoppi, esitazioni o lungaggini tra striscioni, tacchi, abiti talari, camicine fiorate, nudi, cappelli e occhiali (a tal proposito, complimenti a Federica Ponissi per i costumi, efficaci perché allo stesso tempo perfettamente tematici, essenziali e rapidamente intercambiabili), ricreando di volta in volta caratterizzazioni sempre convincenti, originali e interessanti, capaci di passare in un secondo dalla scuola al manicomio, dalla fabbrica al concerto, da un sesso all’altro, dalla caricatura, comica, seria o anche solo simbolica, di un personaggio conosciuto alla personalità realistica di un dignitoso sconosciuto.

Il teatro come luogo d’incontro, festoso e naturale, dove gli attori prima di iniziare salutano dal palco gli amici in sala – concediamoglielo: si parla di ’68, dopo tutto! – e leggono una lettera, pongono una domanda: perché chi quell’anno lo ha attivamente vissuto ora è così restio a parlarne?

Così, si comincia. A noi, spettatori dell’«epoca del disincanto» (come la regista decide di definire i nostri anni nella lettura iniziale) e quindi tanto bisognosi di incanto, gli studenti sessantottini di tutto il mondo ci urlano che non bisogna temere il cambiamento, che si deve manifestare; tre internate venete ci raccontano le rivoluzionarie novità portate da Basaglia nel loro ospedale psichiatrico, gli hippie fumano marijuana, Allen Ginsberg declama le sue poesie, Don Milani si scaglia contro l’educazione tradizionale, Bob Kennedy e Bruce Springsteen (con la voce maschile del batterista) parlano alle folle, i neri vengono discriminati e rivendicano i loro diritti, gli operai, i giovani, le donne fanno lo stesso.

Simbolico ma non concettuale, nostalgico ma senza mitizzare, 1968 è uno spettacolo gradevolissimo, che piace e sa come piacere, costruito con salda consapevolezza scenica, attorale, registica, insomma teatrale, di un teatro che vuole sì essere esperienza toccante e a tratti scomoda, ma dal quale si esce felici, sereni, positivi.

Come finale, ideale più che cronologico, la strage del 2 ottobre in Piazza Tre Culture, Città del Messico, e la risposta al perché, su quell’epoca, nessuno parla a piena voce: il 1968 è l’anno delle lotte, delle manifestazioni, delle proteste; ma, purtroppo, è anche l’anno delle repressioni, delle sconfitte e delle disillusioni, l’anno in cui tutti i Don Chisciotte – bello ed emozionante il tragicomico sketch sinigagliano – malconci, si rialzano dopo lo scontro coi mulini a vento.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro della Coopertiva
via Hermada, 8 – Milano
mercoledì 16 marzo, ore 20.45

1968
progetto e regia Serena Sinigaglia
drammaturgia Paolo Ponti e Serena Sinigaglia
scenografia Maria Spazzi
costumi Federica Ponissi
luci Alessandro Verazzi
con Beatrice Schiros, Irene Serini, Marcela Serli, Sandra Zoccolan
musicisti Massimo Betti, Mauro Sinigaglia, Elvio Longato