Elogio del didascalico

Al Teatro dell’Orologio, è andato in scena 2.(Due), «progetto finalista di EXTRA-segnali dalla nuova scena contemporanea vincitore del primo premio Fringe/L’Altrofestival al 18° Festival Internazionale del Teatro di Lugano in Svizzera».

All’interno di una scena pervasivamente bianca (dal pavimento plastificato alla vasca da bagno con piedini sormontata da uno specchio d’antan), una donna candidamente vestita presenta la propria storia d’amore con Luca.

Dopo averne mimato il passionale e smielato incontro, esaltata la natura pop cantando Ti scatterò una foto, raccontata nei minimi particolari la vita trascorsa con quello che – ne è sicura – sarà il suo grande amore, la donna induce compulsivamente nella descrizione di un rapporto che, da idilliaco e indissolubile («finché morte non ci separi»), nel corso della rappresentazione assumerà toni sempre più cupi. Luca, inizialmente affettuoso e gentile, quasi irreale nella sua perfetta adesione ai canoni sentimentali della donna, diventa distante e apatico. Il motivo è presto detto: anche se stava con lei, Luca era gay («piace il cazzo»).

Terminata questa prima e ampia fase descrittiva, 2.(Due) entra nel cuore del dramma determinato dal non essere e fare parte del numero naturale (due, come «Adamo ed Eva, Sandra e Raimondo, Minnie e Topolino, Barbie e Ken», etc.), un «incubo splatter» intenzionalmente narrato con consapevole e grottesca dovizia di particolari. Aver accettato di esserne amica, madre e puttana pur di rimanergli accanto e non farlo scappare si rivelerà, infatti, una soluzione effimera e basterà la prima prova concreta dell’inganno autoinflittosi (un porno gay su dvd trovato in casa) a scatenare nella donna l’istinto di assassinare Luca con un coltello per poi suicidarsi immergendosi nella vasca.

Climax rapido e scioglimento fatale, dunque, per un allestimento che perplime ben più di quanto possa lasciar immaginare la banalità della sinossi sopra riportata.
Mai in grado di sfiorare la profondità dell’empatia, di 2.(Due), diretto e interpretato dal premio Ubu Licia Lanera, sbalordisce soprattutto la restituzione di un canovaccio talmente didascalico da avvicinare il copione di un programma strappalacrime di metà pomeriggio della tv generalista – nei confronti del quale non concede alcun attenuante l’annunciata costruzione quasi documentaristica attraverso i «brutali racconti di noti assassini, uno fra tutti Luigi Chiatti».

Un didascalico che meraviglia trovare invasivo nell’impianto registico (l’ostentata frontalità con cui la donna declama la propria tragedia tende ai limiti dell’invettiva e, di conseguenza, a una rischiosa deriva moralistica), nell’impostazione attoriale (la vocalità forzatamente anaffettiva e l’uso dei microfoni conducono l’intepretazione della Lanera sul ciglio di una recitazione affettata più che allo «straniamento») e nell’essenzialità scenografica (sacche di finto sangue bucate per trasfigurare – sic! – la morte di Luca, bolle di sapone quale «muto grido di chi ha perso se stesso nella sua follia»), i cui imbarazzanti contenuti – sorprendenti per una compagnia pluripremiata come Fibre Parallele – hanno, di fatto, letteralmente e colpevolmente subìto tanto la povertà creativa della messa in scena quanto la stereotipata edificazione drammaturgica dei personaggi e la monotonìa del lungo monologo.

Un didascalico spinto all’estremo che, con pesante responsabilità, ha finito per inficiare l’intero meccanismo scenico, donando alla rappresentazione un’impressione di sostanziale e complessiva inessenzialità.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro dell’Orologio

via de’ Filippini, 17/a, 00186 Roma
dal 20 al 22 gennaio 2017
venerdì e sabato ore 21.30 – domenica ore 18.30

2.(Due)
drammaturgia Riccardo Spagnulo e Licia Lanera
regia Licia Lanera
con Licia Lanera
produzione Fibre Parallele
durata 50 minuti