Creazione collettiva per un Čechov contemporaneo

Per il Festival Inventaria, la Compagnia TeatrInGestazione di Napoli, presenta il suo 3 to 1, rilettura de Tre sorelle di Čechov.

Il termine “creazione collettiva” riferito a 3 to 1, fa pensare all’ipotetico tentativo di mettere in crisi la parola “autore”. Era Carmelo Bene, con la sua “macchina attoriale”, a contestare l’autorialità, questa prepotente compulsione dell’Io che si ostina a seminare la scena del pronome personale. «È un’arroganza ritenersi autore di qualunque cosa» affermava, opponendo piuttosto una orizzontale “funzione autore”, definibile in una sorta di predisposizione mistica: è importante l’aria tra i corpi desideranti degli attori in scena, coinvolti nell’evocazione di un nodo di disagio, il cui silenzio non è più tollerabile.

Forse non è un caso che le uniche due opere del Festival Inventaria attribuibili a drammaturgie collettive (questa e Vania della Compagnia Òyes) si ispirino a Čechov, forse inteso come come una sorta di padre tutelare da evocare nel rito religiosamente laico che è la creazione teatrale. Il pubblico si accomoda al Teatro dell’Orologio di Roma, e le tre sorelle sono lì, sulla scena, immobili, come glaciate. «I migliori anni della mia vita sono finiti, ma non li rivoglio indietro» dice Olga, che vagherà tra il letto e l’armadietto degli analgesici, non mancando di indossare al colmo della noia una vistosa parrucca e sognare di diventare una vamp («Marcello, come here!»). Maša compulsa rotocalchi come Čebutykin nel testo cechoviano, leggendo a voce alta consigli per restare al palo della propria vita: «truccarsi e vestirsi bene, ma rimanendo inafferrabile; concludete la vostra serata in anticipo dicendo che avete mille cose da fare; la vera signora non fa pesare la propria emicrania sugli altri».

La scena è delimitata a sua volta in modo assai angusto da un lenzuolo, oltre il quale si apre lo spazio del desiderio. Le donne non riescono a passarne il limite, come ne L’angelo sterminatore di Luis Buñuel. Irina in ginocchio, si inserisce nel rosario delle parole vuote, che essendo tali non possono che ripetersi. «Mi sento tutta piena di luce» esclama a ogni risveglio, preceduto da un fischio (La sveglia? Il sibilo del treno per Mosca?). «Ciao cara – ripete ogni volta Maša – sei bellissima». Nel frattempo continua la lotta in Olga, tra il mal di testa che la costringe a letto e la tentazione della vaporosa parrucca bionda che forse può lenirlo. «Il pubblico vuole che ci siano l’eroe, l’eroina, grandi effetti scenici – sottolinea Čechov -. Ma nella vita ben raramente ci si spara, ci si impicca, si fanno dichiarazioni d’amore. E ben raramente si dicono cose intelligenti». I silenzi sono dilatati; il drammaturgo “collettivo” getta l’occhio nei tempi vuoti del testo cechoviano, in cui a sciocchezze proferite, seguono interminabili partite a carte, l’attesa di un visitatore gradito, la promessa di un dono inaspettato. Portato Čechov all’estremo, si arriva a toccare il vuoto, scontato il paradosso della sua non rappresentabilità.

Per uscire dall’impasse, le tre sorelle fanno appello al pubblico, alla sua funzione testimoniale. Irina ci chiede di essere portata via, ma come? Dopo circa due ore di rappresentazione (Possibile?, viene da chiedersi, che il tempo sia passato in un soffio), non capiamo se la pièce si è conclusa. Le tre sorelle indugiano in scena, dopo aver trasferito al pugglico una vertigine innaturale e penosa. La vita scorre ancora sul palco, implacabile, anche se non sembra vita. Ricomincia il fil rouge degli esorcismi di parola: delirare Mosca; perdersi il biglietto del treno; concludere il solitario con le carte. «Vie di fuga cadono nel vuoto – leggo nelle note di regia – riti quotidiani per restare in vita mentre dentro tutto brucia e questo fuoco resta un segreto». Anche il pubblico come le tre donne, resta inchiodato alla propria parte di vita che da sé, e come per caso, aderisce ad un destino. Beckett e Čechov appaiono in controluce nelle “linee dure del significante”, immoto, algido, severo, agitato come una lanterna nella notte. Splendido eco di sé stesso, 3 to 1 sigilla l’orrore delle tre sorelle a pensare soddisfatto il proprio desiderio. C’è da chiedersi: è così anche per noi?

Lo spettacolo è andato in scena all’interno del Festival Inventaria
Teatro dell’Orologio

Via dei Filippini 17/a, Roma
sabato 21 maggio 2016, ore 21.30

3 to 1
creazione collettiva TeatrInGestazione da Le tre sorelle di Anton Cechov e universi beckettiani
regia Anna Gesualdi, Giovanni Trono
con Alessia Mete, Monica Perozzi, Marzia Macedonio
itinerari drammaturgici Loretta Mesiti
itinerari scenici Anna Gesualdi
trainer Giovanni Trono
produzione TeatrInGestazione