Segnali contrastanti

All’interno di Vie Festival, ideato dall’ERT per valorizzare gli spazi teatrali emiliani, Teatri di Vita propone una versione originale di A porte chiuse.

La semiotica studia i segni (e i loro significati), molteplici come i mezzi espressivi o i linguaggi utilizzabili – dall’immagine alla parola, passando per il semplice colore. Uno spettacolo teatrale, essendo sempre il risultato di una giustapposizione di linguaggi, dovrebbe essere costruito in maniera tale che i segni non risultino contrastanti. Come ci sembra avvenga, al contrario, nell’ultimo lavoro di Andrea Adriatico.
Iniziamo con un’analisi della traduzione di Stefano Casi che, nel complesso, convince – anche perché negli staccati e nelle pause fornisce una chiave di lettura dei personaggi particolarmente interessante. Sfruttandone appieno le potenzialità per la distanziazione dell’attore dal personaggio, grazie a una lettura brechtiana o straubiana, si potrebbe addirittura spazzare via l’equivoco del personaggio naturalistico, restituendo l’everyman di Sartre – nel cui inferno, del tutto laico e terreno, ognuno di noi (come l’everyman) vive la difficoltà del rapporto con l’altro da sé.

I tipi di Sartre, però, non sono stati colti appieno dal regista, che ha preferito sovrapporre più metodi interpretativi,
impadronendosi comunque dell’idea di tipizzazione, e presentando personaggi – in parte o in toto – diversi, per indole e colpa, dagli originali.
Il valletto, in primis, si trasforma in angelo caduto, troppo camp e poco miltoniano. Figura che lascia perplessi proprio perché, aldilà della ben nota diatriba sul sesso degli angeli, spiace che all’inferno il Ganimede di turno abbia rimandi gay – in una società, come quella italiana, che non brilla per essere gay-friendly.
Per quanto riguarda il personaggio colpevole di ignavia, oltre al dubbio che suscita l’idea che una donna maltrattata sia per forza indolente (non sempre una relazione intima disfunzionale si rispecchia in un’effettiva incapacità di gestire all’esterno situazioni conflittuali), ci si chiede perché inserire anche la figura di Regeni. Quelle immagini appaiono pretestuose all’interno del discorso già fin troppo complesso della conversione religiosa, sovrapposto a quelli della violenza domestica e del femminicidio. Troppo lampante, e subito denunciato, il rimando del colore delle federe alla bandiera italiana e forse semplicistico colpevolizzare solo il nostro Paese. Certo, l’Italia non conta più nulla sullo scacchiere internazionale – ma ce ne accorgiamo solo ora? Non quando i francesi bombardavano la Libia, stizzosi dei nostri rapporti amichevoli con un Paese produttore di petrolio? E se dobbiamo gettare al vento bandiere, potremmo pensare anche a quella europea – spazzata via da razzismo ed egoismi nazionali – o a quella britannica (visto che Regeni era in Egitto per ricerche commissionate da Cambridge). Ma non divaghiamo.

Anche il personaggio insieme Rom, usuraia, infanticida (in un Paese che ha ormai una Legge, come la 194, che permette scelte consapevoli), e per di più salutata come un capo cosca, sembra portare su di sé troppe stigmate, non sempre congruenti.
E arriviamo al finale. Se i video sono le proiezioni mentali dei morti, dovrebbero circondarli su quattro e non tre lati. Perché i morti sono rinchiusi all’inferno e la mancanza della quarta parete, soprattutto durante le proiezioni, si nota. La porta che, nel testo di Sartre, sarebbe sempre aperta non può essere la quarta parete dato che nulla ne indica la presenza, né nel finale la si riconosce come possibilità di fuga.
Al contrario, il video – al termine della rappresentazione – mostra una serie di porte, tutte chiuse. Ma viste dall’esterno. Qui è l’errore semiotico più grave perché i personaggi sartriani sono chiusi dentro il loro reciproco inferno, e non fuori – in attesa che i battenti si aprano. L’ultima immagine, l’unica congrua, ritrae forse un migrante che aspira a oltrepassare un muro – di confine o di un cosiddetto centro di accoglienza. Eppure questa immagine tanto emblematica vede il proprio valore inficiato dallo stravolgimento del senso sartriano. Se l’inferno non sono gli altri, ma ognuno di noi è artefice del proprio, Regeni sarà colpevole della propria morte così come il migrante di essere nato nel Paese sbagliato – e non sarà più vittima di un sistema economico ormai mondiale, che considera la carne umana merce inflazionata.
Segnali contrastanti forniscono significati altrettanto dubbi.

Lo spettacolo continua nell’ambito di Vie Festival:
Teatri di Vita
via Emilia Ponente, 485 – Bologna
sabato 15 ottobre, ore 19.00
domenica 16 ottobre, ore 17.00
lunedì 17 martedì 18 ottobre, ore 21.00

A porte chiuse
Dentro l’anima che cuoce

uno spettacolo di Andrea Adriatico
ispirato a Jean-Paul Sartre
drammaturgia Andrea Adriatico e Stefano Casi
con Gianluca Enria, Teresa Ludovico e Francesca Mazza
e con Leonardo Bianconi
con l’amichevole partecipazione di Angela Malfitano e Leonardo Ventura
cura Daniela Cotti, Alberto Sarti, Saverio Peschechera e Giulia Generali, Laura Grazioli
scene e costumi Andrea Barberini
tecnica Salvatore Pulpito
con il supporto tecnico I fiori di Marisa, Lady Rose
una produzione Teatri di Vita, Akròama T.L.S.
con la collaborazione Teatri di Bari
con il sostegno Comune di Bologna – Settore Cultura, Regione Emilia-Romagna – Servizio Cultura, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo
a Giulio
(prima assoluta)