Essere gli opposti

Il 10 gennaio è ripresa la Stagione di Fuori Luogo, a La Spezia, con uno spettacolo assurdo e potente, vuoto e denso, concentrato di opposti, come Abracadabra – Incantesimi di Mario Mieli di Irene Serini.

Filosofo, intellettuale, attore, poeta, uomo e donna, Mieli è stato uno dei primi teorici del movimento omosessuale negli anni 70 in Italia. In Elementi di critica omosessuale trascrive in forma di trattato le sue riflessioni sulla sessualità dell’umano (e, quindi, non solo omo- o eterno-sessuale, bensì globale, generale). Una sessualità che per biologia nasce ermafrodita e con una “transessualità” di base (così la chiama Mieli) che è poi incanalata e incarcerata attraverso una forma di “educastrazione” in una sola delle due opzioni previste da una società che decide che cosa ci possiamo permettere di provare. Il suo lavoro è alla base dei gender studies e, non a caso, è studiato nelle università estere, mentre in Italia è pressoché sconosciuto.

Dalla serata di Fuori Luogo ci portiamo a casa diverse cose. La scoperta di Mieli, la curiosità di saperne di più su di lui e sulle sue teorie, un’animata discussione nel rientro sul tema dell’educazione, sul suo significato e su come costruire un mondo diverso senza offendere nessuno (perchè poi qualcuno si dovrebbe offendere? Chi e che cosa viene offeso? In questa domanda non si nasconde forse un grande segreto?) e sul calcolo di quale proporzione fra componente maschile e femminile sia tollerabile per un uomo.

Tutto questo da uno spettacolo che non c’è. Una sfera armillare, in cui i tanti discorsi apparentemente vuoti dell’esterno celano un nucleo denso e potente. Con la scusa dello studio, muovendosi dentro e fuori la rappresentazione, Irene Serini costruisce un lavoro che potremmo metaforicamente e giocosamente (per restare sul tono leggero della prima parte di Abracadabra) immaginare così: strato esterno soffice e spumoso di panna montata, un cuore di metallo con scagliette di cioccolato; servito a parte, un commiato di delicatezza e sagge voci provenienti da lontano – da Pasolini a Platone – un’ultima sezione in cui i ruoli fra spettatori e attrice sono definitivamente ribaltati.

Le diverse densità dello spettacolo sembrano create apposta per rendere più incisivo l’arrivo di Mieli, e allo stesso tempo renderlo meno impegnativo da incontrare. Non sono parole facili da sentire, non sono teorie semplici da digerire. Qualche attimo di potenza, in mezzo a tanti discorsi. Il testo di Mieli che ascoltiamo in registrazione, non è che un piccolo assaggio, ma basta a gettare dei semi di pensiero piuttosto consistenti.

La nuvola di panna è la prima parte, con tutti i discorsi imbastiti dalla Serini, gli accenni di sfuggita a Mieli, gli aneddoti sparsi, l’intrattenere il pubblico, il continuo entrare e uscire dal supposto spettacolo, il divertente e leggero (in apparenza) far girare i motori senza andare davvero da nessuna parte. Il cuore di metallo inizia col buio. Musica, la figura incappucciata gira in tondo toccando come la morte gli spettatori più prossimi al centro. Terminata la musica inizia la registrazione e ascoltiamo le parole di Mieli (presumibilmente dal trattato) che si impongono per chiarezza e sostanza dimostrando la densità di massa di un metallo pesante. Le scagliette di cioccolato sono i commenti al microfono dell’attrice.

Poi, improvviso, il finale. Luce accesa e tanti saluti. Come a togliere, a cancellare quello che è successo. “Forza che è tardi”, abbiamo finito. Applausi del pubblico (copiosi) e ringraziamenti durante quello che, in realtà, è un finto finale – che gioca con le emozioni, la tensione, l’evoluzione psicologica dell’evento teatrale.
Serini abbandona, quindi, il centro della scena. Occupa la platea in un totale ribaltamento delle parti. Inizia il commiato, finché in silenzio, senza clamore, senza applausi finali, se ne va. Come Mieli: in silenzio e senza applausi. Senza che nessuno la segua.

In questa seconda parte gli spettatori restano soli, raccolti tutti insieme sulla scena (pronti al macello) mentre l’attrice se ne sta da sola in platea. Il vuoto tutto intorno a lei dà il senso della grande sproporzione uno-tanti che ha luogo normalmente (e che comunque ha avuto luogo anche stasera). Dà un senso visivo del sacrificio del teatro: una vittima per tutti gli altri, che ora stanno un po’ sul chi vive, in scena. Nel vero finale, senza applausi, il pubblico è privato del piacere fisico e psicologico del rilasciare energia e tensione. Si percepisce solamente il silenzio e un vago smarrimento nel timore di alzarsi e andare via a sproposito.

Lo spettacolo, nella sua struttura talmente particolare, stimola diverse riflessioni interessanti. A essere in questione sono il rito teatrale, il gioco delle illusioni, lo sguardo come strumento di potere, non tanto in teatro ma nella società in generale. Anzi, in questa serata, il luogo teatro è anche simbolo della società (oltre a essere lo spazio creato da quella società per celebrare la sua purificazione e il suo potere).

Che ci sia qualcosa di inusuale si comprende da subito, dalla disposizione delle sedie in scena, in una struttura circolare e non frontale; dalla condivisione dello spazio, quindi, e dal vagabondare dell’attrice come un pazzo (il maschile è voluto) in mezzo agli spettatori (mentre questi stanno prendendo posto). A terra, al centro, uno schema disegnato: quadrato e cerchio posti uno nell’altro a sottolineare il tentativo di far quadrare il cerchio e far circolare il quadrato. Uno schema iniziatico e magico a ricordare insieme sia il Mieli alchimista che il rito teatrale. Sopra, appesi: una sedia, un libro, un microfono.

Gli spettatori e la Serini giocano un doppio ruolo durante l’intera serata: quello di spettatori e di membri della società, i primi; di attrice e di individuo in balia della società, la seconda. La struttura circolare sottolinea il moto centrifugo e anche un inesorabile ricadere dentro, un moto di astri, una gravità. Fuga e ricaduta, equilibrio, fuga e ricaduta, fuga. Fino all’effettiva ultima fuga, ottenuta con l’imbroglio. Perché il capro espiatorio con un tranello ribalta i ruoli, cavalca le convenzioni, fugge nel primo finale, chiude gli spettatori nello spazio della scena, li guarda, li saluta e se ne va. La Serini priva il pubblico del suo potere. Si tira fuori dalla scena e dal rito. Siamo tutti sotto lo sguardo altrui, siamo tutti vulnerabili. Quello che dice l’attrice, quello che dice Mieli, quello che avviene riguarda tutti. Tutti in balia di una società che ci ha educati. Tutti membri di quella stessa società – vittime e carnefici, quindi. Eppure l’identità di vittima e carnefice si incarna letteralmente nel maschio. Questa è la grande rivelazione che ci dona Abracadabra.

Lo confesso, assorbita dai problemi che devono affrontare le donne in una società patriarcale e maschilista, machista, sconcertata dallo scandalo dei femminicidi, dalle violenze perpetrate contro gli omosessuali, ammetto di non aver mai fatto caso a quanto il maschio sia vittima ancora più sacrificata. Vittima delle sue stesse catene e costrizioni. Perché paradossalmente, per chi è sottomesso è più facile vedere le catene e iniziare a liberarsene, a ribellarsi e a combattere. Ma il maschio? Re del mondo, a patto di perdere tutto quello che ha in termini di contatto reale con il proprio corpo, con la propria emotività e chissà, forse, anche con i propri sogni. Un maschio che non può viversi per intero e che deve mutilare la sua natura: tutto pur di rispondere alla chiamata e diventare un “vero uomo”. Lui che si crede libero, crea catene più pesanti da vedere e da rompere per se stesso. In ballo sono la sua identità, l’accettazione, l’essere riconosciuto quale valido elemento della società, il non essere messo al bando, ridicolizzato, bandito come scandalo e pericolo pubblico, nemico, scherzo per tutti. Offesa. E soprattutto sfida.

Chi ha paura di veder mettere in discussione e di vedere vacillare, anche solo minimamente, la propria identità sessuale? E soprattutto che cos’è in definitiva l’identità sessuale, così come la concepisce questa società? Che cosa si nasconde dentro e dietro di essa? Attendiamo il quarto studio per saperlo.

Lo spettacolo è andato in scena:
Dialma – Cantiere Creativo Urbano
via Monteverdi, 117 – La Spezia
venerdì 10 gennaio 2020, ore 21.15

Abracadabra – Incantesimi di Mario Mieli
di Irene Serini
con Irene Serini
organizzazione e produzione Maurizio Guagnetti
disegno luci Caterina Simonelli