Una risata ci seppellirà

Il fine settimana sbarca al Festival dei Tacchi, portandosi al seguito due leggerissime riflessioni sul “male”, una vista con gli occhi della mafia e l’altra con quelli della scanzonata criminalità veneta, per una serata più commerciale del previsto.

Un uomo anziano, con la barba fine, ancora da rasare, sale lentamente sul palcoscenico. Un cardigan leggero lo protegge dall’arietta. Le mani nodose affondano e riemergono dalle profonde tasche dove tiene un fazzoletto di stoffa che piega e ripiega con gesti controllati. L’occhiale, ben calcato sul naso, lo aiuta a guardare lontano, fuori dalla finestra, verso il monte. Don Salvatore si presenta così, come un signore qualunque, posato, elegante nella sua semplicità, con una moglie amata e un figlioccio ancora tutto da educare. Appena apre bocca, però, il quadro comincia a incrinarsi. «Sarò l’urlo del prepotente, il braccio violento della Legge, l’angolo più buio… E non chiederò perdono». E proprio questo contrasto, questo gioco di luci e ombre (smorzato dall’ora non ancora vespertina) fa da corollario a l’Acquasantissima – Ultimo giorno di Don Salvatore, il monologo di Fabrizio Pugliese co-autorato da Francesco Aiello andato in scena il quinto giorno di Festival dei Tacchi.

«Che cosa determina la non contraddizione tra la cultura mafiosa e quella cattolica? Com’è possibile all’interno della stessa Chiesa la presenza di un Dio dei carnefici e un Dio delle vittime?». Queste le domande alla base della pièce dell’URA Teatro, una catabasi nello Stato sommerso della ‘ndrangheta scandita dall’incedere raffinato di un Pugliese in grado di dominare la scena con placido ardore, seppur all’interno di un testo con delle criticità di base. La capacità dell’Onorata Società di creare mondi ed eticità tangenziali infatti, presenta un terreno spinoso in cui inoltrarsi, in primo luogo per la facile tentazione di assolvere chi non ne fa parte condannandone i membri (tentazione alla quale Pugliese e Aiello non cedono, dandone una rappresentazione “fedele” e non di parte) e, in secondo luogo, per l’enorme mole di “mafiosità” presente nel pane quotidiano italiano, inzuppato di articoli, fiction e saggistica che hanno avuto il merito di analizzare da molteplici punti di vista la questione e il demerito di anestetizzarne l’impatto. Ne l’Acquasantissima, la fedeltà scientifica frutto di una ricerca sicuramente approfondita sembra però limitare la riflessione più o meno catartica che l’opera vorrebbe generare, restituendo al pubblico un lavoro circolare e smussato con pochissimi momenti di attrito tra il Bene e il Male insiti in ognuno di noi, assumendo così e più che altro toni altisonanti ma dall’eco debolissima, che passano leggeri sull’inferno dei viventi.

Simile per tema e criticità il secondo spettacolo della serata, un gran varietà turbofolk offerto dal popolare e istrionicamente offlagadiscopaxiano Andrea Pennacchi, padre dell’ormai virale Pojana, «un demone, piccolo, non privo di saggezza ma non particolarmente in alto nella gerarchia infernale, che usa la verità per i suoi fini e trova divertenti cose che non lo sono, e che è dentro ognuno di noi». In Pojana e i suoi fratelli, infatti, quelli del Teatro Boxer portano dietro ai microfoni le storie un po’ vere e un po’ affabulate di Edo il security, Tonon il derattizzatore, Alvise il nero e altri venetə “cattivə”, finitə tra le mura delle case circondariali della Regione per aver peccato di omicidio. Nato, tra le altre cose, anche da un laboratorio teatrale che Pennacchi ha tenuto con il suo “socio” Giorgio Gobbo nelle prigioni della zona natia, il momento performativo andato in scena al Festival dei Tacchi di Jerzu regala un pot-pourri di “venetità” che vorrebbe porgere uno shakespeariano specchio alla natura ma che, vuoi per una mancata caratterizzazione effettiva dei vari personaggi proposti (troppo simili tra loro e allo showman, lasciando così interdetto a più riprese lo spettatore che cerca invano di capire chi stia parlando in un dato momento, se l’attore che recita il “cattivo” o il comico che ne mette in discussione l’esistenza per creare quel cortocircuito necessario all’accensione di un pensiero critico), vuoi per una drammaturgia che sembra non sapere da che parte andare, perdendosi in un solipsistico “patchwork” sconclusionato, altro non fa che generare ebeti risate assolutorie che mettono lo spettatore dalla parte dei “buoni” senza offrire alcuno spunto di riflessione sulla violenza creata e subita da questi piccoli satanassi del Nord.

Unico momento interessante in quasi due ore di classiche battute da fioi, proprio perché sottolineato con mano pesante da Pennacchi e quindi forse recepito veramente da un pubblico televisivo, risulta essere la riflessione sul mona che non sa di esserlo: col dito puntato su sé stesso, l’attore di Padova riesce a interrompere per un momento le ebeti risate di cui sopra, che si strozzano nell’imbarazzo prima di riprendere il proprio corso e seppellire senza pensarci due volte le esecrabili affermazioni razziste e sessiste di individui che non riescono a farsi personaggi – e quindi a farsi sentire – per difetto di scrittura teatrale. E quando le candelette finalmente si smorzano, non rimane altro che «un povero commediante che si pavoneggia e si agita, sulla scena del mondo, per la sua ora, e poi non se ne parla più; una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e di furore, che non significa nulla».

Gli spettacoli sono andati in scena all’interno del Festival dei Tacchi
Cantina Antichi Poderi
Via Umberto I, 1 – Jerzu
sabato 7 agosto 2021

ore 19:00
Acquasantissima – Ultimo giorno di Don Salvatore

con Fabrizio Pugliese
testo e Regia Francesco Aiello, Fabrizio Pugliese
musiche Remo De Vico
coproduzione Ura Teatro e Teatri Del Sacro

ore 21:30
Pojana e i suoi fratelli

di e con Andrea Pennacchi
musiche dal vivo di Giorgio Gobbo e Gianluca Segato
una produzione Teatro Boxer