Odiamo le donne anche per trasposto Paese

Il testo misogino di Patrick Marber, che riscrive il dramma di Strindberg, è al Franco Parenti, ambientato nella Milano della Liberazione. Il che lo rende ancora più improbabile.

Che idea hanno del primo rapporto sessuale di una donna Patrick Marber e il regista Giampiero Solari? Gabriella Pession, attempata vergine milanese, compare in scena grondante sangue, salvo poi essere rimproverata dal suo improvvisato amante di essere esperta come una prostituta e di amare certi “giochini”. Chissà. Ma non è senz’altro questa l’unica incongruenza di un brutto dramma rubato ad August Strinberg (che invece ne scrisse uno bellissimo per la sua epoca, Fröken Julie) da Marber e abbastanza inspiegabilmente rilocalizzato nei pressi di Milano, il giorno dei festeggiamenti della Liberazione. A parte alcune battute “non spostate”, per cui, per esempio, la cameriera di casa chiede al fidanzato che lettura ci sarà in Chiesa, cosa che solo a una protestante verrebbe in mente, tutta la storia basata sull’impossibile amore tra una giovane agiata e un servitore diventa surreale nell’Italia che festeggiava la caduta del fascismo.

Prima di tutto perché quell’ossessione sociale aveva senso nella Svezia di fine Ottocento, forse ha qualche senso nella classista Inghilterra degli anni Quaranta, ma è fuori luogo, in quelle forme e in quei modi, nella Milano della Resistenza e in generale nella società italiana di fine guerra. Secondo, perché i protagonisti non sembrano affatto appena usciti dal peggiore conflitto dell’umanità (ma il regista ha letto le cronache di quei giorni a Milano?): lei è una totale cretina che non si è accorta di nulla, lui è altrettanto squilibrato e nel caos di quei giorni continua a far l’autista al padrone in livrea ma si rivela un vero esperto di un inattuale turpiloquio. Soprattutto, suicidarsi (come fa lei, seguendo ciò che accade nel dramma di Strindberg) non è quello a cui hanno pensato, in quei giorni, le donne italiane. Perfino quelle rimaste incinte di tedeschi, americani e quant’altro. E poi che senso ha portare oggi sulla scena una storia sbilenca il cui tormentone è che una donna che “si dà” è una puttana (anche la cameriera che ha avuto rapporti con il futuro marito)? Gli insulti fioccano sulla poveretta, che oscilla tra istinti sado-maso, bronci da quindicenne e ire da padroncina. E il pubblico ride.

Devo ammettere che è quello che mi ha colpito di più: perfino un pubblico colto e avvertito come quello del Franco Parenti di Milano si sbellica alle battute grossolane e misogine, agli epiteti “troia” e “battona”, spazzando via 50 anni di faticosamente conquistata libertà sessuale. Questo mi ricorda il problema di sempre della schizofrenia tra dichiarazioni e quotidianità della scena culturale. E amplifica anche i dubbi su #MeeToo: finché le attrici si prestano sulla scena a ribadire i soliti stereotipi sarà ben difficile che chi le circonda se ne liberi. Farsi stuprare come se niente fosse sul palcoscenico, aggrapparsi a uomini violenti e subire gli epiteti peggiori, soprattutto in un dramma così improbabile e inutile, a chi serve? Il dubbio è che Gabriella Pession volesse fare la sua “prova d’attrice”, come se ci fosse una sorta di sindrome di “Lucia di Lammermoor”, ovvero se non si fa la pazza e si passa dal pianto al riso senza motivo non si è una diva. Lino Guanciale è bravo ma gigioneggia e sfrutta sino in fondo la risata facile misogina. La povera Roberta Lidia De Stefano è legnosa oltre ogni dire, deve pronunciare battute che sono appunto ottocentesche e fare anche lei una scena della disperazione in vestaglia e capelli sciolti che nemmeno nei teatri lirici di provincia azzardano più. In sottofondo (anzi diremmo in primo piano) incombe poi una colonna sonora assordante che rende tutto ancora più insensato. Si canta Bella ciao e si dovrebbe condannare una riccona una po’ sballata che per una notte si scopa il suo autista?! Brutto spettacolo. E, viste le risate del pubblico, anche pericoloso.

Lo spettacolo è in scena
Teatro Franco Parenti
Via Pierlombardo 14 – Milano
fino al 23 dicembre 2018
visto il 18 dicembre alle 20,00

After Miss Julie
di Patrick Marber
con Gabriella Pession, Lino Guanciale e Roberta Lidia De Stefano
regia di Giampiero Solari
traduzione Marco Maria Casazza
scene Giorgio Morandi, Elisa Rolando e Marta Solari, studenti del Triennio in Scenografia di NABA con il coordinamento di Angelo Linzalata
costumi Nicoletta Ceccolini
luci Camilla Piccioni
musiche arrangiate ed eseguite da Woody Gipsy Band e Giuseppe Bonifacio
regista collaboratore Vittorio Borsari
produzione Teatro Franco Parenti
(durata: un’ora e 40 minuti)