Tra il patico e l’incanto

Agnès Obel ha regalato un prezioso concerto all’Amphithéâtre Cité Salle 3000 di Lione, creando scintille emozionali. Una serata romantica che ha mostrato tutta la grandezza di questa artista danese.

Una timida presenza raggiunge il centro del palco. Erin Lang dei Feral and Stray saluta il numeroso pubblico e inizia un breve set di canzoni tratte dal recente Between you and the sea. Un dream-pop soffiato, lievemente accennato, che vive dell’attimo in cui appare, per dissiparsi, perdendosi per sempre, l’attimo immediatamente successivo. Erin accompagna il tour francese di Agnès Obel e lo fa spogliando le proprie composizioni, arrivando ai limbi estremi dell’essenziale. La sua apparizione nell’impressionante Amphithéâtre Cité Salle 3000 è assimilabile a un lieve acquerello, velato di sognante melanconia.

Il pubblico, acclimatatosi alla temperatura delicata della serata grazie a Erin Lang, sembra quasi trattenere il respiro per non rovinare l’atmosfera. L’artista danese non si fa attendere e giunge sul palco, accompagnata dalla violoncellista Anna Müller e dalla violinista Mika Posen. Un magnifico trio femminile.
Come introduzione alla serata, Agnès Obel sceglie la canzone strumentale Louretta, piccola giostra sognante che sembra accompagnare l’ideale prologo di un film melanconico e incantevole. Con la seguente Philharmonics, tratta dall’album omonimo del 2010, gli ascoltatori accolgono la voce dell’artista danese, soave proprio come su disco. Ancora una canzone del primo album, Beast, prima di lasciare lo spazio alla presentazione del nuovo lavoro, Aventine, in uscita il 30 novembre. Questa seconda prova dell’artista mantiene tutte le promesse e le attese che si erano formate intorno alla nuova pubblicazione. Il precedente lavoro era apparso come un’apertura di senso, carezzevole e impegnata, nel panorama musicale internazionale. Aventine va ad accostarsi a Philharmonics creando una doppia cifra musicale importante. Anche in questo album ritroviamo le caratteristiche basilari che hanno colpito la critica. Armonie lineari che risentono di influenze classiche (Debussy, Satie e Chopin in primis), una pulizia tonale di rara bellezza e un fondo di magico incanto. Durante la serata, Agnès Obel dosa con sapienza le canzoni, andando a pescare nel piccolo, ma straordinario, repertorio, le proprie meraviglie musicali. Agnès Obel centellina le proprie canzoni nel tempo, e in questa parca produzione possiamo notare l’insistente cura con la quale leviga le sue perle, fino a raggiungere una perfezione che mantiene l’opacità del sentimento, dell’aspetto patico della vita. La sua musica si situa lontana da ogni sperimentazione e da ogni sincretismo. Strumenti classici come il pianoforte, il violoncello e il violino costituiscono la trama musicale vivificata dalla voce inconfondibile della danese. Suoni classici, ripetuti con insistenza. Piccole variazioni che modulano le composizioni. Ma tutto ciò non è un sintomo di povertà musicale o creativa, al contrario. Si tratta di una creazione sul campo in grado di muoversi tra movimenti similari, grazie a leggeri slittamenti che aprono a un nuovo senso e a un mondo da scoprire.
Dorian si regge su linee melodiche che ricordano i primi lavori di Ludovico Einaudi: un mondo che si pennella quasi da solo, accarezzando la superficie acquea di un mare greve. Ed è proprio questa la cifra stilistica della Obel: evocare qualche linea, lasciando lo spazio alla creazione del mondo come se questo germinasse in modo autonomo. Un’intenzionalità complessa, che potrebbe essere avvicinata a quell’intenzionalità inversa che Henry Maldiney cita nei suoi scritti, un fenomeno di reciproca implicazione dell’individuo e della cosa, dell’ascoltatore e della canzone. I suoni ci colpiscono, ci colgono, si direzionano verso di noi e ci scelgono, in una prospettiva volontaristica, ancor prima di ogni nostra scelta. Si tratta di un’implicazione che gioca nell’anacronismo, attraverso temporalità fluide che mettono in discussione i nostri abituali metodi di rapporto con il mondo. Quello che avviene con il mondo musicale di Agnès Obel appare essere esattamente così: crediamo di cogliere i suoni ma ci accorgiamo che questi ci avevano già scelto in precedenza. La nostra volontà si rivela essere già disegnata, proprio all’interno della trama musicale che si dispiega, come se avesse una sua visibilità, sotto i nostri occhi.
La serata continua in maniera delicata e scivola via quasi senza rendersene conto. Alla fine saranno sedici le composizioni presente al pubblico, un sapiente mélange dei due album. Forse passeranno ancora tre anni prima di ascoltare delle nuove composizioni di Agnès Obel, ma il tempo, in questa fredda serata lionese, sembra essersi fermato, per poi riprendere a scorrere in maniera lineare, arricchito da una circolarità musicale che si aggira tutt’intorno. Melodie di velluto che perdurano.

agnesobel

Une soirée riche en émotions à l’Amphithéâtre Cité Salle 3000 de Lyon dimanche 24 novembre. Agnès Obel nous a offert un concert magique, en proposant des compositions tirées de ses deux albums, Philharmonics et Aventine. L’artiste danoise a bâti un espace intime dont l’envergure était composée d’une riche stratification temporelle. Une musique sensible et visuelle.

Set
Louretta
Philharmonics
Beast
Pass them by
Fuel to fire
On powdered ground
Chord left
Aventine
Dorian
Wallflower
Riverside
Run cried the crawling
Words are dead
The curse

Encore
Brother sparrow
Close watch (John Cale’s cover)

Il concerto ha avuto luogo:
Amphithéâtre Cité Salle 3000
1, Quai Charles de Gaulle – Lione (Francia)
domenica 24 novembre, ore 20.00

Le Centre de Congrès de Lyon presenta
Agnès Obel (+ Feral and Stray) en concert
http://www.ccc-lyon.com/