Naufragio d’intenti

Aladin diventa musical al Teatro Brancaccio di Roma, un progetto ambizioso ma imperfetto per una versione trasfigurata rispetto all’amato e compianto cult Disney.

È una imponente produzione quella che porta a teatro una versione del tutto altra rispetto al celeberrimo film d’animazione del 1992 e dà vita ad Aladin – Il Musical Geniale, musical targato Alessandro Longobardi in collaborazione con Viola Produzioni e caratterizzato da un cast giovane e alcuni volti televisivi noti (il simpatico Sergio Friscia su tutti).

Scritto e diretto da Maurizio Colombi, il soggetto di Aladin – Il Musical Geniale si allontana completamente dalla tentazione di resuscitare un’opera con la quale sarebbe stato forse troppo arduo sostenere il paragone, ma che, probabilmente, avrebbe aiutato a proteggersi da un esito apparso quantomeno contraddittorio.

L’ambizione di reggere sulle proprie gambe ha trovato linfa nei numerosi cambi degli apparati scenografici e, pur eludendo ogni sperimentalismo nel miscelare elementi coreografici e soluzioni musicali, ha provato anche a strizzare l’occhio al contemporaneo attraverso l’accattivante inserimento di una tematica di stretta attualità, nella fattispecie la questione della parità di opportunità tra uomini e donne.

La storia è completamente riscritta nella narrazione grazie all’innesto dell’incipit sulla genesi dei due Geni fratelli (titani esiliati dall’Olimpo, sarebbero stati rinchiusi in una lampada e in un anello per espiare le proprie colpe dai tempi di Gengis Khan) e alla decisione di diversificarne le figure rispetto al testo d’origine.

Gli ingredienti del racconto Disney vengono infatti trasposti in un ricco parterre di interpreti: Aladin è uno scavezzacollo che vive di piccoli espedienti e senza cura del proprio futuro, se non il desidero di sposare la principessa; Jasmine è l’annoiata figlia del Sultano che, delusa da una vita di agio e isolamento, cerca l’avventura addentrandosi nel mercato cittadino, incontrando con Aisha – sua fidata ancella, il cui ruolo era della tigre Raja – Aladin e il suo compagno di merende e piccoli furti Abdul; antagonista rimane il perfido Jafar, tuttavia cambia la sua spalla, non più il loquace pappagallo Iago, ma il sottomesso nano dalla lingua mozzata Skifus, che poi darà luogo al colpo di scena finale.

Le migliori intenzioni sono dichiarate ed evidenti: la scenografia componibile restituisce con trasparenza i diversi ambienti in cui si svolgono gli avvenimenti (caverna del cobra, il palazzo nobiliare, il mercato), mentre l’uso del multimediale, pur eccessivamente vintage, è funzionale a potenziarne la percezione e i costumi, pur senza alcun margine di originalità, sono di bell’impatto. Ma per il duo Colombo/Longobardi le intuizioni virtuose si fermano qua.

Senza addentrarci nella descrizione della trama, sulla cui novità non abbiamo nulla da eccepire, Aladin non solo è un musical mai brillante, frammentato nel ritmo e scialbo nella resa canora e nelle performance coreografie, performance la cui insipida esecuzione – vista la lunga esperienza di chi ne ha diretto la macchina – può essere solo in parte giustificata dalla consapevolezza della giovane età complessiva dei suoi protagonisti e dalle prove positive dei volenterosi Leonardo Cecchi e Jonathan Guerrero e della sontuosa Raffaella Alterio (nei panni di una naturalissima scimmietta Coco).

Aladin delude non solo per la banalità e la mediocrità di testi incapaci di restituire emozioni, che scivolano più d’una volta nella trivialità (indimenticabili le sequenze dell’innamoramento di Aisha – citiamo a memoria – dall’esser stata «tutta palpata» durante la visita al mercato fino alle reiterate e convinte dichiarazioni di Adbul di «volersela fare») e mancano a volte di coerenza (dall’aver stabilito che i Geni di una vicenda mediorientale siano divinità olimpiche alle contraddittorie affermazione di Aladin, secondo la quale il Sultano sarebbe stato causa della povertà del suo popolo, e del Genio, secondo cui il popolo sarebbe innamorato del Sultano stesso).

A sorprendere pesantemente in negativo non è solo la forzata e didascalica restituzione della morale, quanto e soprattutto il modo in cui il finale ne ribalti e infici completamente la prospettiva da progressista in reazionaria: l’unico modo che ha Jasmine di rivendicare diritti in quanto donna è quello di essere pronta a sfornare eredi al trono. Perché solo così sarà degna di chiedere al padre Sultano di sposarsi liberamente e, verrebbe da aggiungere, assumere liberamente il ruolo di moglie e madre e non più di figlia, ovviamente senza mai mettere in discussione che tale fatto possa non essere una gentile concessione da parte del sesso cosiddetto forte.

Dunque, per quanto Aladin sia nato da una buona volontà e da una poderosa produzione di effetti speciali, a deludere è stata la sua realizzazione, impantanata nei limiti e nelle contraddizioni di un progetto apparso senza capo né coda.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Brancaccio

via Merulana 244, Roma
dal 2 ottobre al 8 dicembre 2019

Aladin – Il Musical Geniale
ideato e diretto Maurizio Colombi
musiche originali e arrangiamenti musicali Davide Magnabosco, Alex Procacci, Paolo Barillari
con
Leonardo Cecchi – Aladin
Emanuela Rei – Jasmine
Sergio Friscia – Genio Dell’anello
Raffaella Alterio – Coco
Renato Crudo – Abdul
Daniele Derogatis – Sultano
Jonathan Guerrero – Skifus
Fulvia Lorenzetti – Kamira
Gloria Miele – Aisha
Umberto Noto – Genio Della Lampada
Maurizio Semeraro – Jafar
ensemble Jessica Aiello, Raffaele Cava, Cristina Da Villanova, Imma De Santis, Francesco De Simone Anna Gargiulo, Stefano Martoriello, Alfonso Mottola, Eleonora Peluso
scene Alessandro Chiti
costumi Francesca Grossi
disegno Luci Christian Andreazzoli
disegno suono Emanuele Carlucci
direzione musicale e arrangiamenti Davide Magnabosco
arrangiamenti vocali e vocal coach Alex Procacci
coreografie Rita Pivano
effetti speciali Erix Logan
contributi video Claudio Cianfoni
produzione Alessandro Longobardi per Officine Del Teatro Italiano
in collaborazione con Viola Produzioni