Sebben che siamo donne

teatro-ringhiera-milano-80x80Al Teatro Ringhiera, Serena Sinigaglia mette in scena la commedia e il dramma, politico e umano – che sono tutt’uno, in perpetua coesistenza e contraddizione – della relazione e dell’incomunicabilità con l’Altro, ma anche con l’interno, con il simile.

Alla mia età mi nascondo ancora per fumare è un testo è di Rayhana, drammaturga algerina che vive in Francia. Scrive sotto pseudonimo per difendersi dalle aggressioni di chi vuol mettere a tacere le sue parole di denuncia, richiudere gli squarci che lei cerca d’aprire sulla condizione femminile nel mondo musulmano.
Di questo, infatti, tratta lo spettacolo. Ma dire condizione femminile è forse riduttivo perché l’autrice conosce quel mondo dall’interno e ce ne mostra la complessità, senza semplificare. Non parla della donna, ma delle donne, e lascia intravedere diverse possibilità di rapporto col mondo maschile, diversi modi di viverlo, infinite possibili risposte a una cultura che già di per sé non è certo monolitica.

Siamo in un hammam di Algeri, nel giorno riservato alle donne. Nascosta nella dispensa sul retro, una ragazza incinta, che cerca di sfuggire a un fratello appena tornato dalla Francia e disgustato dalla sua gravidanza illegittima: un fratello che la insegue per ucciderla. Intanto si raccolgono tra i vapori le vite di otto donne, libere di spogliarsi, di condividere abusi, vizi, segreti e mettersi in gioco. Storie forse simili, perché queste donne vivono da sempre nello stesso quartiere e nella stessa realtà. Ma generazioni, visioni del mondo, dell’amore e della vita estremamente diverse: spesso, in questo Altrove, capaci d’incontrarsi, dialogare, capirsi e sostenersi; altre volte, invece, anche tra simili non c’è possibilità d’ascolto, anche tra simili esistono distanze invalicabili. È il caso della fondamentalista, che arriva per ultima, estranea, vestita di nero, estremamente coperta, ingabbiata in se stessa, in un luogo di bianchezza e nudità: un’immagine di fortissimo impatto, nei suoi movimenti pesanti (purtroppo, non così potente nello sviluppo successivo).
Eppure queste otto donne si trovano insieme, barricate in un non-luogo di libertà e unite a difendere la fuggitiva. E la difendono perché, nella sua presenza-assenza, è per tutte un simbolo, anche solo in quanto donna, in un mondo in cui l’uomo è l’Altro – l’Altro, senza voce, senza linguaggio, senza volto, che batte sulla porta per entrare, per violare il segreto dell’intimità e schiacciarlo, calpestarlo pur di raggiungere la preda, quasi un rituale alla ricerca del capro espiatorio.
Il rito si consuma in un tempio. Così l’hammam, Altrove di tregua e libertà, diventa un luogo sacro, come una chiesa in cui un Fra Cristoforo fuggiasco può cercare riparo. All’inizio l’entrata di Marcela Serli, che, di spalle, si spoglia e si getta con violenza acqua (benedetta?) sull’inguine. Ne sancisce – appunto – la sacralità e sottolinea, insieme, l’opposizione rispetto al luogo sacro per antonomasia – dove si è coperti e silenziosi, per rispettare un’ipotetica presenza divina, mentre qui è luogo di vita terrena, di corpi liberi di scoprirsi, di parole libere di uscire. Dove il rispetto che si chiede è per l’essere umano fatto di carne, per il quotidiano, per una donna che sta per partorire.

Bellissimi anche la scenografia e i costumi. Veli bianchi, che coprono e scoprono i corpi e la scena; in mezzo una vasca d’acqua a rendere l’idea dell’hammam; le donne vi si dispongono intorno, a semicerchio, così da sottolineare il carattere corale della storia che ci viene raccontata.
S’intravede, nel lavoro di Serena Sinigaglia, il percorso che ha portato lei e le sue attrici verso un mondo così lontano. La leggerezza che permea tutto lo spettacolo è frutto di una ricerca profonda: da fuori, i drammi di queste vite sembrano non poter essere vissuti che tragicamente, con dolore e pesantezza – ma anche lontananza e distacco. Da dentro invece la realtà è viva e per quanto la società possa essere opprimente, nel quotidiano l’unica arma per restare in piedi è forse proprio quest’ironia, suggerita certamente dal testo di Rayhana, ma anche ben penetrata dalle attrici. E così, anche nella comunicazione con lo spettatore, è proprio il tono da commedia a rendere tanto incisivo il dramma.

Alla mia età mi nascondo ancora per fumare è una denuncia e parte proprio dall’Atir, un luogo attivo o attivista, coinvolto nel sociale – che è sempre politico – e in costante relazione con il mondo circostante, vicino o lontano che sia, dove il teatro non si esime dalla responsabilità di essere lotta. E infatti alla fine si fermano gli applausi per dedicarlo ad alta voce a Reyhaneh Jabbari, la donna iraniana impiccata per aver ucciso l’uomo che tentava di stuprarla. Si sente così ancora più forte l’urgenza di questo spettacolo, capace di avvicinarci a un mondo d’abusi e violenze che non conosciamo se non dall’esterno, di farcelo vivere, mostrarcene con leggerezza le contraddizioni e la drammaticità.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Ringhiera Atir

Piazza Fabio Chiesa / Via Pietro Boifava 17, 20142 Milano
dal 21 ottobre al 1 novembre, dal martedì al sabato alle 20.45, domenica alle 16.00

ATIR Teatro Ringhiera e Theater tri-bühne Stuttgart presentano
Alla mia età mi nascondo ancora per fumare
di Rayhana
traduzione di Mariella Fenoglio
regia Serena Sinigaglia
con Anna Coppola, Matilde Facheris, Mariangela Granelli, Annagaia Marchioro, Maria Pilar Pérez Aspa, Arianna Scommegna, Marcela Serli, Chiara Stoppa
scene Maria Spazzi
costumi Federica Ponissi
attrezzeria Maria Paola di Francesco
luci Roberta Faiolo