Timore e tremore

Che cos’è l’arte e qual è la specificità del contemporaneo? Contro ogni ipotesi di riduzionismo, Masque teatro e Crisalide, festival ormai prossimo al quarto di secolo, continuano a interrogarsi sulla possibilità e il senso dell’attività artistica.

Sorge da e si erge su una felicissima citazione da Che cos’è la filosofia di Gilles Deleuze e Félix Guattari, la XXIII edizione di Crisalide, festival di teatro, danza, filosofia e musica ideato e organizzato da Masque teatro («far passare un po’ di caos libero e ventoso»).

Lacerare quel firmamento di convenzioni e opinioni disegnato dagli stessi uomini per edulcorare la coercizione insita in ogni stereotipata pratica sociale e «inquadrare in una luce brusca una visione che appare attraverso la crepa»: vista all’interno di questa parafrasi del pensiero di Deleuze e Guattari circa la definizione della filosofia, artista sarebbe colei (o colui) che, quasi per dovere, non si limita a ricevere, purificare o rischiarare la nostra tradizione, ma la ricrea in percorsi inediti e rizomatici.

Crollo della partecipazione civile (a meno che non si voglia considerare tale quella dei click), recessione dei rapporti materiali (non solo economici), crisi umanitarie permamenti tra occidente e oriente sono tutte spie della tendenza all’incapacità di cogliere le opportunità che pure sarebbero messe a disposizione dal progresso scientifico e tecnologico. Perché se l’oggi sembra animato dalla richiesta performativa, dalla corrispondenza eterodiretta a standard, dalla valutazione impersonale, è stata di fatto la dea della produttività, per lo più accostata ai corollari della velocità sempre maggiore e della visibilità eclatante, ad avere strappato al singolo la propria intimità (altrimenti fatta di tempi e spazi inalienabili nella loro autoreferenzialità) e donatogli quale unica forma di responsabilità l’adesione o meno a imperativi imposti da una estraniante collettività politica/populistica ed economica/finanziaria.

All’interno di questa prospettiva, poco rassicurante ma paradossalmente volta al futuro, non tutto è perduto perché se l’arte ha un grande chance, è proprio sulla creazione a partire dalla critica dell’esistente che da sempre si gioca la sua possibilità di senso – dunque legata tanto alle specificità del contemporaneo quanto a una funzione comunitaria – che Crisalide conserva in un clima culturale d’avanguardia che va dalla stella danzante di Nietzsche al caos di Deleuze e Guattari.

In particolare, la poetica coreografica di Myriam Gourfink sembra un manifesto di questa riappropriazione del sé nella solitudine e col silenzio: l’applicazione delle «tecniche respiratorie dello yoga», la ricerca della «spinta interiore che porta al movimento» e alla «coscienza dello spazio», il respiro quale bussola per «l’organizzazione degli appoggi» compongono infatti una microdanza in grado di scorrere lentissima e ininterrotta, apparentemente in stasi, in realtà mai doma e sempre in tensione.

myriam-gourfink-almastyAlmasty, spettacolo portato in scena al Teatro Guattari, non chiede la minima eccezione all’inclemente coerenza di questa pratica. La fluidità spazio-temporale del corpo,  il movimento coreutico come «dimensione dell’esistenza» e «forma primaria e privilegiata dell’espressione umana» inscrivono da vicino questa partitura di danza in un repertorio capace di proporre l’esperienza totale e della totalità. Deborah Lary è straordinaria e concentratissima nel perpetuare la percezione del mondo esteriore/interiore, nel comporre/organizzare la coreografia attraverso la relazione con la duplicità di uno spazio esterno/interno: da un lato, «l’ambiente circostante diventa il referente, ossia un dispositivo di costrizioni spaziali che rivela alla danzatrice i suoi limiti e le sue resistenze» dando «origine movimenti di torsione, rotazione, inversione e capovolgimento»; dall’altro il «viaggio dell’apparato percettivo e del pensiero all’interno del proprio corpo» permette di «prendere tempo e sentire tutte le reazioni»

myriam-gourfink-almasty-2Unificando la profondità spaziale nella durata temporale, sposandosi perfettamente con il densissimo paesaggio sonoro contrappuntato da Kasper Toeplitz, Almasty è allora la lacerante esposizione dell’Io che, scopertosi a una distanza abissale da se stesso e (auto)postosi di fronte a quell’Assoluto rappresentato dal proprio Io autentico, si vive nell’angosciosa (auto)percezione sub specie aeternitatis.

Una scoperta certamente non di fruizione popular, intenzionalmente elitaria nell’esigere dal pubblico l’assunzione del necessario ascolto empatico, ma folgorante nel manifestare – concretamente e teoricamente – la sperimentazione artistica sul solco dell’incessante scoperta di nuovi percorsi creativi e nel porre, in tal modo, in prossimità di quella voragine che è l’intimità di ognuno e che, proponendo la continua tentazione dell’«invenzione dell’impossibile», consente a Deborah Lary di essere-Almasty, ossia quel divenire-animale che per Deleuze rappresentava il permanere di differenza e decostruzione nel processo di composizione identitario dell’essere umano.

La coreografia è andata in scena all’interno di Crisalide:
Teatro Félix Guattari
via orto del fuoco 3, Forlì
29 ottobre, ore 21

Almasty
coreografia Myriam Gourfink
danza Deborah Lary
musiche Kasper Toeplitz
luci Kasper Toeplitz
costumi Laurence Alquier