Frammenti di un discorso amoroso

Antonio Latella, dopo la monumentale saga di Santa Estasi, mette in scena Aminta di Torquato Tasso, un classico del teatro in versi, interpretato dalla compagnia Stabilemobile.

Aminta di Torquato Tasso, il “gran portento” della nostra letteratura cinquecentesca (così Carducci), ritorna ad abitare i nostri palcoscenici, in una messa in scena di Antonio Latella e della sua compagnia Stabilemobile, molto apprezzata dalla critica. Lo spettacolo ha debuttato nel novembre scorso al Lauro Rossi di Macerata, mentre noi l’abbiamo visto al Teatro dell’Arte di Milano. L’ultima importante rappresentazione di Aminta si doveva a Luca Ronconi nel 1994, in una versione elegantemente ironica con un cast smagliante: attori ronconiani come Delia Boccardo, Sabrina Cappucci e Massimo Popolizio, mescolati ai giovani allievi della scuola dello Stabile di Torino e a un rappresentante della tradizione, Arnoldo Foà. Era la creazione con cui il Maestro traghettava dallo Stabile di Torino all’Argentina di Roma.
Antonio Latella sceglie una strada diversa e si concentra sul nucleo poetico più autentico dell’opera, affidando a quattro attori tutti i ruoli previsti.
La storia di questa “favola boschereccia” a chiave (il testo fu rappresentato nel 1573 nell’isoletta di Belvedere sul Po e molti personaggi erano travestimenti di aristocratici e cortigiani ben noti nella corte ferrarese degli Este) è presto detta: il giovin pastore Aminta (Emanuele Turetta, nello spettacolo) ama non riamato la bella ninfa Silvia (Matilde Vigna), che invece come l’Ippolito euripideo gli preferisce la caccia ed è infastidita dal suo corteggiamento. Silvia è consigliata e rampognata dalla più matura Dafne (Giuliana Bianca Vigogna, molto brava), mentre Aminta si confida col saggio Tirsi (Michelangelo Dalisi). La situazione precipita una prima volta, quando Silvia rischia di essere violentata da un satiro: Aminta la salva, ma neanche questa prodezza del pastore la commuove. Solo la notizia del suicidio dell’innamorato, che per un’erronea congettura aveva ritenuto Silvia sbranata da un lupo, finirà per ammorbidire il cuore di pietra della ninfa: fortunatamente Aminta è sopravvissuto al suo tentativo di suicidio e la favola si chiude con l’happy end.
Antonio Latella non crede alla teatralità dell’Aminta (e forse in questo periodo della sua parabola creativa non crede proprio alla teatralità in sé), ma è affascinato dai frammenti di un possibile discorso amoroso, che la drammaturgia di Linda Dalisi gli ha preparato. L’impossibilità dell’amore, il mascheramento, la violenza, Eros e Thanatos, il ruolo della parola ecco i temi che gli stanno effettivamente a cuore e Tasso, letto magari attraverso Leopardi e Barthes, lo serve a puntino.
Ecco perché con lo scenografo Giuseppe Stellato decide di collocare i quattro attori all’interno di un binario circolare su cui scorre lentamente un proiettore che di conseguenza illumina i loro volti, disegnando luci calde ed ombre in modo sempre diverso: la tragicommedia dell’uomo è inserita in un cerchio magico fortemente simbolico. È ancora una volta quel gran teatro del mondo, tanto caro al barocco, che finisce per essere la chiave interpretativa del regista, ben nascosta nelle pieghe della sua essenzialità. L’immagine del satiro (interpretato con voluto cortocircuito di senso dallo stesso attore, Emanuele Turetta, che recita intensamente il ruolo di Aminta) denudato proprio da Silvia e confitto dalle aste portamicrofoni, riproduce l’iconografia di un San Sebastiano sofferente ed è in qualche modo allegoria del sacrificio dell’uomo come soggetto desiderante ma anche dell’attore nella società contemporanea.
Come in altre produzioni di Latella (vedi Un tram che si chiama desiderio di Williams o Natale in casa Cupiello di De Filippo) si rinuncia all’azione teatrale vera e propria, ma si costruisce un percorso registico molto chiaro, quasi geometrico: all’inizio con essenzialità ascetica c’è solo la parola degli attori: la ninfa Silvia volta le spalle agli spettatori e il testo è seguito piuttosto da vicino. Verso la fine della prima parte il recitato si scioglie nel canto, più precisamente nella riscrittura del Lamento della Ninfa di Claudio Monteverdi operata da Franco Visioli (cui si devono tutte le scelte musicali e foniche dello spettacolo), e assistiamo infine al denudamento del satiro; nella seconda parte le tensioni accumulate deflagrano nel canto urlato del rock, Rid of me di PJ Harvey e Vitamin C dei Can, Aminta ora offre le spalle al pubblico, mentre Michelangelo Dalisi, che nel prologo ha interpretato il ruolo di Amore ed è già stato Tirsi, cammina in cerchio temperando la sua matita e configurandosi così come doppio dello scrittore o dell’artista.
Ovviamente qualunque messa in scena di Aminta deve partire da una idea della recitazione dei versi. Latella giustamente non segue né la tradizione cantata e compiaciuta delle accademie del passato e neanche la scomposizione frastagliata e fortemente espressiva di Ronconi, e cerca un’altra strada: il verso diventa, per dir così, un vettore, una sorta di unità orientata al significato, perdendo però parte della sua varietà. Questo produce inevitabilmente una perdita nella ricchezza dei significanti, ma acquista un effetto ipnotico. Lo spettatore spesso si smarrisce o fatica, soprattutto quando la concentrazione richiesta all’attore non è totale, cogliendo comunque le tensioni in atto, che anzi risultano esplicite.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro dell’Arte

Viale Alemagna, 6 – Milano
dal 17 al 20 gennaio 2019

Aminta
di Torquato Tasso
regia Antonio Latella
con Michelangelo Dalisi, Emanuele Turetta, Matilde Vigna, Giuliana Bianca Vigogna
drammaturga Linda Dalisi
scene Giuseppe Stellato
costumi Graziella Pepe
musiche e suono Franco Visioli
luci Simone De Angelis
movimenti Francesco Manetti
assistente alla regia Francesca Giolivo
production Brunella Giolivo
management Michele Mele
produzione stabilemobile
in collaborazione con AMAT e Comuni di Macerata e Esanatoglia nell’ambito di “Marche inVita. Lo spettacolo dal vivo per la rinascita dal sisma”
progetto di MiBAC e Regione Marche coordinato da Consorzio Marche Spettacolo
© Andrea Pizzalis per Centrale Fies