L’uomo amletico

Nell’ambito della rassegna minimal del Teatro della Toscana dedicata a Shakespeare, va in scena un lavoro di Macelleria Ettore del 2013. Ottime le intenzioni, ma il risultato sembra lo studio per uno spettacolo che sarà.

Avevamo lasciato Carmen Giordano e Macelleria Ettore, l’anno scorso, a Inequilibrio, plaudendo convinti a Senza trama e senza finale, primo tassello di una trilogia dedicata a Čechov. Li ritroviamo quest’anno con un Amleto? del 2013, di circa 35 minuti, giocato unicamente sull’interpretazione dei due protagonisti.
Il lavoro di Carmen Giordano sulla manipolazione testuale regge per i primi venti minuti, coadiuvata anche dalle luci che investono Detassis in pieno volto quando si rivela quale maschera amletica. La tragedia del Bardo, concentrata sul rapporto Amleto/Ofelia, si specchia nella moderna tragedia di coppia, in un lui e lei impantanati in un rapporto bergmaniano, dove – oltre all’incomunicabilità – gli amanti devono affrontare il problema dell’azione (comune, del resto, al lavoro teatrale). Quante volte all’interno di una coppia ci si domanda (così come durante le prove di un nuovo spettacolo): “Dove stiamo andando?”. Metateatralmente, questo bisogno è sentito da Ofelia e, specularmente, dalla lei – nostra contemporanea. Amleto è un lui indeciso, rinchiuso in se stesso, egocentrico maschio alla ricerca di un senso della vita che esclude la vita. E lei.
Per venti minuti il gioco regge supportato anche dall’ottima interpretazione, soprattutto di Detassis – sempre molto credibile e poco enfatico. Poi qualcosa si sfalda. L’ultimo quarto d’ora sembra un abbozzo. Le luci non paiono più così precise. Lo srotolamento del discorso/trama corre verso un finale tagliato con l’accetta. Sul palco irrompe perfino la violenza fisica ma è un flash, quando dovrebbe essere un focus. Il femminicidio non può essere liquidato con due sberle. La tessitura precisa di Giordano sembra sfilacciarsi in matasse grossolane.
Del resto, in 35 minuti, ci appare pretestuoso voler mettere in scena il rapporto di Amleto e Ofelia e, contemporaneamente, quello di una coppia dei nostri giorni. Non discutiamo che, a volte, less is more, ma questi spettacoli che ormai viaggiano al di sotto dell’ora lasciano la bocca amara. C’è bisogno di tempo per sviscerare un argomento, creare azioni e costruire personaggi credibili che, agendo e dialogando, possano crescere ed evolversi. Impossibile raggiungere un climax in una manciata di minuti che, nel teatro elisabettiano, basterebbe a costruire forse un atto.
Del resto, anche La bella stagione del Teatro della Toscana con questo Shakespeare Shaker (di cui Amleto? è l’ultimo titolo in programma) appare una rassegna in tono minore (sebbene si stia parlando di un teatro nazionale), con l’ennesima riproposizione di Lear firmato da Roberto Bacci, due letture di Gabriele Lavia, uno spettacolo con gli allievi del Corso di Formazione Orazio Costa, un percorso emozionale (del quale non possiamo dire nulla non avendolo visto e non riuscendo a immaginarne i contenuti), un pastiche firmato da cinque Compagnie che lavorano con il teatro e la salute mentale, e questo Amleto?.

Lo spettacolo è andato in scena all’interno di Shakespeare Shaker.
La bella stagione del Teatro della Toscana
Castello dell’Acciaiolo

via Scarlatti – Scandicci

Macelleria Ettore presenta:
Amleto?
testo e regia Carmen Giordano
disegno luci Alice Colla
con Stefano Detassis e Maura Pettoruso
organizzazione Daniele Filosi