Un’insostenibile assenza

Torna a Fuori Luogo, Amleto Fx di VicoquartoMazzini. Citazioni, miti, simboli nella mente del principe di Danimarca.

I casi, le occorrenze in cui si assiste a uno spettacolo influiscono sulla fruizione, e se sempre influenzano più o meno la visione – anche se solo in parte minima – talvolta possono fare la differenza, soprattutto quando si guarda uno spettacolo per la seconda volta. È proprio questo il caso in cui ci troviamo, ed è quindi forse bene iniziare con una precisazione: avevamo già visto questo spettacolo in occasione del Premio Inbox 2015. Tempi diversi, una diversa esperienza. Due anni passati e un To be or not to be Roger Bernat appena visto. Perché chiarire tutto questo? Perché assistere a uno spettacolo dopo molto tempo fa sì che ricordi, aspettative, una conoscenza pregressa possano rendere la visione un’esperienza molto diversa rispetto a quella dello spettatore vergine. Per qualche ragione, infatti, siamo rimasti distaccati. Non siamo riusciti a entrare dentro lo spettacolo. Aldilà di qualche nota e perplessità su alcune scelte nella costruzione dello spettacolo, però, sono emerse anche alcune riflessioni.
Due gli spunti principali di questa lettura: primo, la riscrittura del celebre monologo essere o non essere. Secondo, l’invito a Ofelia ad abbandonarsi nelle acque – un invito che potrebbe assurgere a una sorta di manifesto, in cui la ripresa con il cellulare è fulcro di un’esistenza.
Amleto, del resto, sembra un adolescente in preda a una grossa crisi, che non riesce ad affrontare. Non esce dalla sua stanza. Gioca con le identità, le immagini, le sue costruzioni mentali. La relazione con l’esterno passa attraverso i ricordi o la rete. La sua identità pubblica è il suo profilo, con tutte le conseguenze che questo comporta.
Attraversando, come in un gioco da bambino, diverse identità e miti, passando da Amy Winehouse a Kurt Cobain e a Marilyn Monroe, Amleto muove qualche passo e ricade. Non riesce a stare in piedi da solo. Non riesce a dare un senso alla sua vita, una volta perso il rapporto col padre. Morto lui, niente sembra più possibile. Problemi di individuazione, ferita del non/troppo amore o narcisismo, bando allo psicologismo: il fatto è che, fondamentalmente, questo Amleto non riesce a dare un senso alla propria esistenza in modo autonomo. Non è solo la vita in generale a non avere senso, ma la sua stessa esistenza, il suo essere nel mondo. E se, all’inizio, cerca di trovare un appiglio, una chiave di senso nella vendetta, attraverso il cambio di profilo, questo tentativo fallisce e non gli resta che tornare al vecchio abito e morire. Come un bruco che, per qualche motivo, scelga di non trasformarsi in farfalla.
Questo principe di Danimarca non sa trovare una risposta fuori o dentro di sé. Dentro non ha abbastanza risorse, e fuori non ha nessuno e niente che possano aiutarlo. La sua coscienza – il suo «tessoro» – è annegata in un mare di citazioni: così si è formato il suo sé, facendo appiglio a una cultura di massa che non può dare nutrimento al suo spirito.
Il monologo di Amleto, trasformato in una trafila di citazioni da film famosi, ci fa ripensare al film di Alain Resnais, Parole, parole parole (On connaît la chanson), in cui i personaggi si trovano spesso a cantare canzoni pop o jingle pubblicitari quando cercano di dialogare o dare espressione ai propri sentimenti. Bernard Stiegler (filosofo francese contemporaneo) vi fa riferimento per trattare del modo sottile con cui certi must della cultura di massa non solo nutrono, ma plasmano, abitano, costituiscono la nostra coscienza, la formano al punto che non si hanno più parole proprie, e l’espressione passa attraverso parole d’altri (parole che però appartengono alla cultura di massa, e questo fa la differenza).
Così le citazioni che infarciscono e stravolgono il celebre monologo shakespeariano se, da un lato, strappano il sorriso (e risolvono l’annoso e spinoso problema del monologo, punto critico delle messinscene dell’Amleto – perché, chissà come mai, al primo essere si sente il click del cervello del pubblico che pensa: “ah, questo lo conosco già!”, e il cervello automaticamente si spegne); dall’altro, danno un risultato amaro e grottesco: un monologo che parla di una questione topica dell’esistenza umana si spappola, si sbrodola e diventa una sequela di citazioni, un barbaro (nel senso etimologico di balbuziente) collage in cui il pensiero è del tutto assente.
Nessuno ha la saggezza necessaria per crescere, o per trovare nutrimento; ovunque l’acqua è sporca o è salata: non nutre, avvelena o secca. Così Amleto fallisce e muore.
Il dramma non è l’indecisione, il dubbio, l’incapacità di abbracciare il ruolo affidato dal padre, la responsabilità. No, il dramma è una solitudine speciale, di un individuo rinsecchito, che non ha fatto neanche in tempo a germogliare e sbocciare. È un ramo che è seccato prima ancora di dare frutti. Non è riuscito ad arrivare alla maturità perché non aveva la sostanza con cui farlo.
Quando un barlume di consapevolezza e umanità lo accende e Amleto aspetta trepidante, desideroso, una frase che testimoni di una connessione profonda e seria con Ofelia, ecco apparire sullo schermo i punti di domanda della povera ragazza che non comprende. La comunicazione è impossibile, non per motivi esistenziali (perché siamo soli al mondo, o perché ci sia una sostanziale impossibilità di comunicare), ma perché manca un alfabeto e soprattutto una coscienza autentica, al contrario alterata come cibo contraffatto.
Sebbene forse si compiaccia del suo dolore, questo Amleto, la sofferenza nonostante tutto c’è. E quando il giovane emerge dall’incoscienza, quando qualche barlume di umanità lo scuote e il dolore getta la maschera, la disperazione sembra rigettarlo nella totale incoscienza. E allora il dubbio fra essere o non essere non si pone, ed esiste solo la tautologia dell’essere, del non riuscire a porre il problema, di non riuscire a pensarlo e tantomeno a comunicarlo. Come un disco rotto, arrabbiato, disperato, Amleto ricade nell’incoscienza, la abbraccia, ne fa il suo destino. Come una farfalla notturna con la candela. Come in un buco nero.

Lo spettacolo è andato in scena nell’ambito di Fuori Luogo:
Auditorium Dialma Ruggiero

via Monteverdi, 117 – La Spezia
venerdì 27 e sabato 28 ottobre, ore 21.15

Amleto Fx
uno spettacolo di e con Gabriele Paolocà
collaborazione alla regia Michele Altamura e Gemma Carbone
scene Gemma Carbone
disegno luci Martin Emanuel Palm
produzione Gli Scarti, VicoquartoMazzini, Progetto Goldstein