Il destino nella Danza

Dopo averne ammirato sul palco del Teatro Vascello per Teatri di Vetro i quadri Contemplazione e Il Dono, scopriamo a Santarcangelo Festival l’esito finale del progetto Prometeo firmato da Simona Bertozzi e Nexus, And it burns, burns, burns.

Quello di Prometeo può essere considerato l’antecedente e speculare versione pagana del mito cristiano del peccato originale, l’analogo racconto di come l’essere umano si fece autocoscienza con l’affermazione del valore positivo della conoscenza.

Cessando di essere un privilegio divino, la téchne divenne patrimonio esclusivo dell’homo sapiens e caratterizzò il dominio razionale sul mondo naturale nel senso del possesso materiale. Conseguentemente a tale processo, la primordiale sfida all’autorità e la doverosa punizione coincisero col far sorgere nella psiche quella distinzione tra bene e male che l’azione millenaria della Gente del Libro lasciò degenerare nella percezione di una connaturata imperfezione e in un perenne stato di senso di colpa da far espirare a ogni individuo.

Quel primo atto culturale – che, come fil rouge, lega in un ossimoro la responsabilità della cognizione di Prometeo all’irresponsabile ingenuità di Adamo ed Eva – fu dunque perifrasi della drammatica consapevolezza che a ogni tentativo di ribellione sarebbe seguita una reazione uguale e contraria da parte di chi pure – a suo modo – protegge tale supremazia: ieri gli dèi o Dio, oggi le élite o un biopotere impersonale, diffuso e incontestabile.

La mitologia di Prometeo è, allora, una narrazione ben più problematica di quanto possa apparire rispetto a una vulgata che lo interpreta unilateralmente nelle vesti di un rivoluzionario ante litteram, quale Titano che, avendo insegnato agli uomini la tecnica, li rese «da infanti quali erano, razionali e padroni della loro mente» (Prometeo incatenato, Eschilo).

Nonostante l’arte del corpo sia probabilmente più appropriata di quella del testo, perché supera le problematiche relative al tradimento linguistico affidandosi a una grammatica di gesti e fisicità, tradurre in danza la complessità di un mito fondativo dell’Occidente non è facile, ma Simona Bertozzi in And it burns, burns, burns mantiene splendidamente le originarie intenzioni libertarie di «Prometeo, il dio crocifisso per aver amato troppo gli uomini» (Simone Weil) e coreografa un’autentica tragedia sulla quale sarà impossibile meditare senza avvertire di quella disobbedienza tanto un’aura di cupo timor dei, quanto la controversa affermazione di un atto di forza necessario per un «uomo che non ha in sé alcuna responsabilità, dato che all’origine dell’errore e del peccato è il suo creatore», «perché, quando ingiuriamo il cielo, lo facciamo in virtù del diritto di colui che porta sulle spalle il fardello di un altro» (Lacrime e santi, Emil Cioran).

E, allora, sofferenza e solitudine, solennità e vitalismo si disvelano nella strenua ricerca di equilibrio di Anna Bottazzi, Arianna Ganassi, Giulio Petrucci, Aristide Rontini e Stefania Tansini, e nel moto perenne che attraversa And it burns, burns, burns con quadri densi di variazioni sul tema della completezza della circolarità; con Prometeo che asseconda il proprio travaglio facendosi uno e trino nell’intreccio narrativo, mentre una tensione vibrante e mai completamente pacificata diventa, infine, speranza e possibile apertura affinché il destino della tecnica non sia necessariamente quello di consegnare alle future generazioni un mondo in macerie.

Simona Bertozzi costruisce il lavoro coreografico senza ingabbiarlo, rendendo continuamente sfuggenti «le traiettorie su cui si innesterà l’intero percorso, scandendo le tappe di un possibile dialogo tra età, intenti e proiezioni» (ndr), ed esalta la qualità dell’ensemble grazie alla presenza di danzatori adolescenti dalla sconcertante personalità scenica e senza dover ricorrere a strumentali sporcature nella precisione del gesto, ma conservando la dolcezza dei sollevamenti e la bellezza delle figure.

In questo And it burns, burns, burns, il fuoco – che accompagna l’articolato sorgere dell’anima umana – e il convincente impianto musicale di Francesco Giomi contribuiscono a comporre con omogeneità i vari quadri, a tradurre la danza in un’idea chiara e coerente in grado di legare intenzione ed esecuzione artistica.

Senza forzare la ricerca in una sterile originalità, l’esito cui Simona Bertozzi giunge è allora superbo con il segno plastico disegnato nello spazio capace di restituire senso figurativo al vuoto, donare alla forma la sostanza del concetto e sublimare il mito a materia di cui è fatta la realtà.

Un risultato espressivo coinvolgente e fisicamente intenso, preciso e poetico senza inutili virtuosismi per rappresentare un genere umano, il cui «orizzonte resta sospeso tra possibilità di caduta o elevazione» (ndr), e che «ha gioito troppo poco: solo questo, fratelli, è il nostro peccato originale» (Così parlò Zarathustra, Friedrich Nietzsche).

La coreografia è andata in scena all’interno di Santarcangelo Festival
ITC Molari

via Felice Orsini 19, Santarcangelo di Romagna (RN)

And it burns, burns, burns
progetto Simona Bertozzi, Marcello Briguglio
ideazione e coreografia Simona Bertozzi
interpreti Anna Bottazzi, Arianna Ganassi, Giulio Petrucci, Aristide Rontini, Stefania Tansini
musica Francesco Giomi
luci Simone Fini
costumi Cristiana Suriani
organizzazione Beatrice Capitani
produzione Nexus 2016
con il contributo di Mibact e Regione Emilia Romagna-Fondo di Sostegno alla produzione e distribuzione della Danza d’Autore Regione Emilia-Romagna 2015/2016
con il sostegno di Fondazione Nazionale della Danza / Aterballetto Centro di Produzione
in collaborazione con ATER Circuito Multidisciplinare dell’Emilia Romagna, Armunia Festival Costa degli Etruschi, Santarcangelo dei Teatri