Ridere – Liberi!

Al teatro Astoria di Lerici, per la Stagione di Fuori Luogo, va in scena Andromaca, del binomio Massimiliano Civica/Sacchi di Sabbia. E tutt’a un tratto gli antichi siamo noi.

L’Andromaca di Euripide è un’opera insolita: non ci sono gli stravolgimenti tipici della tragedia, non c’è lacerazione, in apparenza non accade nulla e anzi vi sono molteplici apparenti lieto fine.
Gli umani si affannano in cerca di soluzioni alle loro personali tragedie attraverso trame, stratagemmi, ricerca di protezione e di aiuto, mentre il destino, altrove, ha già colpito. Il messaggero arriva sul finale come un particolare Deus ex machina, non per salvare la situazione ma per ribaltarne i presupposti, mostrando come la realtà comprenda dati e fatti che sfuggono ai tentativi umani di controllarla e dirigerla. Fanno tutti i conti senza l’oste – e non Neottolemo, personaggio principale, grande assente a cui tutti fanno riferimento, bensì la vita stessa.

L’ironia tragica voleva che gli spettatori greci già sapessero della morte di Neottolemo. Anche noi ne eravamo a conoscenza, avendo assistito al debutto dello spettacolo la scorsa estate in occasione del Festival Inequilibrio. Così, abbiamo visto umani affannarsi in cerca di soluzioni, sentendosi sicuri o insicuri della propria sorte, senza sapere che in realtà il destino si compie senza di loro.

Giovanni Guerrieri, durante l’incontro col pubblico a fine spettacolo, racconta come questa tragedia insolita ben si prestava al “gioco” che la Compagnia – I Sacchi di Sabbia – in combutta con il regista Massimiliano Civica, ha voluto tentare: il testo era particolarmente adatto a un trattamento divertito, quasi ai limiti del parodico (sebbene, per un misterioso equilibrio, non vi sfoci mai), a un lavoro di straniamento e allontanamento, sottolineato in primo luogo dalla scelta di una barbuta protagonista – sempre attaccata alla sua statuetta – e poi dagli slittamenti costanti fra riferimenti all’antico e al contemporaneo, e dal variegato tessuto linguistico. Un tessuto ricco di toscanismi, dialetto, incursioni in un idioletto particolarissimo – fatto di intonazioni, pause, sarcasmi, sbuffi e occhi al cielo. Fatto di parole, quindi, ma anche di abiti (il velo di Andromaca), oggetti (la statuetta e Molosso) e gesti – ad esempio, il modo in cui Menelao tortura il piccolo Molosso in modo scurrile e divertente, con “crudelissime” violenze da bambini a base di caccole letali e sederi puzzolenti.

Ne è nata non una parodia, ma un tendere il testo e la messinscena in direzioni inattese, straniandolo verso altri piani, all’insegna della comicità, del sarcasmo e del grottesco. Ma qual è alla fine il senso dell’impresa? Come per I dialoghi degli Dei (precedente esperimento del binomio Civica-Sacchi di Sabbia) si tratta di una forma di intrattenimento colto?

Se nel complesso lo spettacolo è divertente, con tanti spunti interessanti (magari con qualche turpiloquio di troppo), la messinscena si mostra nella sua essenzialità, schematicità, ma soprattutto esilità. Esile, talvolta così esile da sembrare sul punto di spezzarsi. Una sensazione che si ha negli scambi iniziali fra schiava e Andromaca, e sul finale, dove il canto in solitaria della schiava non basta a sorreggere ciò che accade (vero è che a Castiglioncello, in occasione del debutto, le schiave erano due, essendo presente in scena anche l’attrice Giulia Solano). Gli attori si muovono su schemi di movimento obbligati, come pedine, forse a voler significare proprio questo essere pedine nelle mani del caso – chissà. In ogni caso, i corpi paiono imprigionati all’interno di questi schemi e l’energia fatica a dispiegarsi. Ed è questo, al di là delle particolari scelte estetiche, ad apparire il sintomo di un qualcosa.

A questo proposito, può essere utile tornare a leggere le parole di un’intervista rilasciata a Persinsala dal regista, in occasione del debutto dello spettacolo Un quaderno per l’inverno, qualche anno fa. Vi ripassiamo la differenza fra teatro e spettacolo, e in particolare la scelta di non bombardare il pubblico con gli stimoli tipici dei grandi spettacoli. Si sa che scegliere l’essenzialità è sempre rischioso e molto coraggioso. In essa si dispiega totalmente la fragilità intrinseca del teatro, tutta fondata sull’energia dell’attore. Tuttavia, in Andromaca, l’essenzialità – soprattutto per quanto riguarda prossemica, ritmi e musica – appare una scelta teorica che, a tratti, sulla scena mostra di vacillare/scricchiolare/incrinarsi. Il teatro è fragile, sì, ma vivo, con energia in movimento e fiorente, non trattenuta.

Il finale che tanto ci aveva colpiti al debutto, con il messaggero che sfida/invita le persone a ridere, in questa nuova replica non ha la stessa forza (ovvio, fa parte della fragilità intrinseca cui si accennava sopra: nuova replica, nuova realtà). È invece lo scambio di sguardi, intenso e terribile, fra messaggero e schiava, a turbarci, mentre l’uno avanza e l’altra si allontana sul fondo, con il controluce rosso ad abbracciarli. “Questo lieto fine non s’ha da fare”, sembra dire il messaggero. Arriva la verità di un fato che si compie altrove.

A conclusione sella serata, nell’incontro finale con la Compagnia, giunge un’altra amara e stimolante verità, nata dalla domanda assassina di una giovane partecipante al laboratorio di critica: «Perché avete scelto quella canzone per il lieto fine?». «Perchè?!», con stupore e un po’ di stizza inizia il mio monologo nella testa… «Ma che domanda sarà mai? È la canzone standard dei lieto fine, non ricorda? Dorothy, Oz, e tutto quello che ne consegue, Somewhere over the rainbow è il lieto fine. Sempre». Ma la giovane non ricorda e non sa. La giovane è giovane. Ed ecco che si apre la voragine del gap generazionale: lo spettacolo è pieno di riferimenti vecchi per vecchi – intendendo con vecchiaia la temibile soglia dei trentacinque anni. Significante e referente (la canzone, il film) non fanno più parte di un contesto comune. Come la canzone, anche lo stile adottato nella radiocronaca della descrizione della morte di Neottolemo a Delfi si può supporre perduto. Siamo vecchi. Siamo storia e studio: servono delle spiegazioni per essere capiti perché i riferimenti non sono più scontati e non possono più essere dati per scontati. Come per Andromaca. Come per il teatro antico.
Siamo ufficialmente antichi.

Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Astoria
Via Nino Gerini, 40 – Lerici (SP)
giovedì 11 aprile, ore 21.15

Andromaca
uno spettacolo di Massimiliano Civica e I Sacchi di Sabbia
con Gabriele Carli, Giulia Gallo, Giovanni Guerrieri ed Enzo Iliano
produzione Compagnia Lombardi-Tiezzi
in co-produzione con I sacchi di Sabbia
e il sostegno di Regione Toscana