Jesus Christ Superbar

india-argentina-roma-80x80Il bar. Il purgatorio. Cinque clienti, cinque anime in attesa di essere redente. Una voce narrante. Ubriaca. Va in scena con queste premesse la nuova fatica della compagnia Carrozzeria Orfeo, Animali da bar, all’interno del Romaeuropa Festival 2015.

A chi non è mai capitato di ritrovarsi sommerso nella melma viscosa del trantran quotidiano, oberato dalla frenesia paralizzante, incapace di intendere e di volere? O di intendere di volere altro (che è forse peggio)? Chi non ha mai trovato sollievo nell’annegare il proprio cervello in un bicchiere bello pieno, come fanno ogni sera gli anziani con la loro dentiera, immersa nella purificante acqua sul comodino? Chi non si è mai sentito sordo, cieco, muto, come una larva attaccata a una foglia con un unico, sottilissimo, filo di bava, ovvero nel ritratto della precarietà?

Chi, insomma, non è mai stato un animale da bar? La porta per questi luoghi liminali, al di fuori del tempo ma pur sempre alla deriva nei suoi flutti, si sa, è facile da aprire. La birra scende senza fatica nei bicchieri, coadiuvata dalla forza di gravità, e la luce soffusa stempera anche le brutture più marcate.

Qui, una “mostruosa” donna ucraina senza scrupoli (la bellissima Beatrice Schiros) assume sembianze materne, con eruzioni emotive tra il tenero e lo spietato (come ogni madre, insomma); un Gabriele di Luca, yuppie de’ noantri imbottito di bamba e con compagna nera (ergo prostituta, per la legge del baretto), diventa il simbolo della piccola imprenditoria intraprendente e di belle speranze, che sogna soltanto un reddito fisso, mettere su famiglia e invecchiare tranquillamente; un hippie buddhista e new age melariano (Massimiliano Setti) dai trascorsi familiari piuttosto turbolenti, stereotipo dei bei ideali di oggi che, spesso e volentieri, non riescono a tradursi in belle pratiche, sembra un Peter Pan un po’ cresciuto sotto le luci del bancone; un topo d’appartamento zoppo e bipolare (Pier Luigi Pasino) appare per quello che è, vittima di una società meschina e ottusa; un vecchio irascibile, depravato e razzista (voce di Alessandro Haber) è il nonnino amorevole che ci ha tenuto sulle sue gambe quando eravamo ancora dei poppanti. Nel bar tutto diventa più sopportabile, meno sgradevole: più umano. Tutto, o quasi.

Forse per via dell’ombra incombente che l’acclamato e riuscitissimo Thanks for Vaselina proietta sulla compagnia, i tipi dell’Orfeo non riescono con il loto ultimo spettacolo a raggiungere i fasti del passato. La Storia, le varie storie, sono un pugno dritto dritto nella bocca dello stomaco, ma la forza del colpo è quella di un ottuagenario asmatico. Il fango, l’amarezza e lo schifo che permeano il mondo vengono messi in scena con l’agilità e la freschezza tipiche dei Vaseliniani, ma senza quel mordente necessario, che non impedisce a queste grandi verità di rimanere impresse nella mente dello spettatore, scivolando via tra una risata più o meno riuscita e l’altra.

La voce narrante (Paolo Li Volsi), forzatamente astemia per una notte, urla a squarciagola per le strade il suo odio per la speranza, la grande illusione dei perdenti. E per un momento si viene presi da un fremito, un’emozione scomoda: è davvero tutto inutile? Is this it, come cantavano gli Strokes? Un utero in affitto, una violenza domestica, un’ossessione fallocentrica, il fantasma di Mammona, la morte come una via d’uscita?

Qualcuno diceva che l’uomo è l’unico animale per cui l’esistenza è un problema da risolvere. E nonostante il linguaggio a momenti ridicolo e fastidioso (non «grottesco») di un testo in odor di traduzione da/verso l’inglese, con tutte le esclamazioni e le imprecazioni anglofone e teofile del caso (- Gesù Bambino, + Porca miseria), il buon vecchio Bukow… Swarovski narrante ce la mette tutta per risollevare i suoi piccoli animali dal marasma di problemi nel quale li immerge per il proprio, subdolo, ludibrio. Ma nella lotta per il piacere, per l’essere accettati, non ci sono vincitori: solo vinti. Non può esserci un lieto fine, se il fine cui si tende non esiste. Nella ricerca della soddisfazione hic et nunc, infatti, l’uomo perde le sue già stentate velleità divine, scadendo definitivamente nell’animalità più pura; un’animalità da bar. E l’ubriacone prova a farcelo capire, a farci cambiare punto di vista, a farci porre le domande giuste su di un fine reale, ma il chiasso tipico del luogo è assordante, le sue parole si perdono in un bicchier d’alcol.

Uno spettacolo che vuole dire tante cose, forse troppe, e che dà adito a interpretazioni e reazioni diverse, magari  proprio perché non riesce a togliersi di dosso una magniloquenza che in un bar, quando la birre smette di colare dal bancone e le serrande vengono sbattute sul cemento, non è più di casa.

Lo spettacolo è andato in scena
Teatro India

Lungotevere V. Gassman, 1 – Roma
dal 13 novembre al 15 novembre 2015

Animali da bar
uno spettacolo di Carrozzeria Orfeo
drammaturgia Gabriele Di Luca
regia Alessandro Tedeschi, Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti
con Beatrice Schiros, Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Pier Luigi Pasino, Paolo Li Volsi
voce fuori campo Alessandro Haber
musiche originali Massimiliano Setti
progettazione scene Maria Spazzi
assistente scenografo Aurelio Colombo
realizzazione scene Scenografie Barbaro srl
costumi Erika Carretta
luci Giovanni Berti
allestimento Leonardo Bonechi
illustrazione Federico Bassi
grafica Giacomo Trivellini
foto di scena Laila Pozzo
organizzazione Luisa Supino
produzione Fondazione Teatro della Toscana
in collaborazione con Festival Internazione di Andria | Castel dei Mondi